Che sotto la Mole la situazione sia grave lo si capisce dall’escalation in corso nel Pd. È appena caduta la prima testa: Raffaele Gallo, finora capogruppo dem nel Consiglio piemontese e pronto a correre da capolista nel collegio di Torino alle prossime regionali, che in Piemonte saranno a giugno, in contemporanea con le europee. Aveva due ruoli da “capo” ormai insostenibili per il suo partito, ora invece si è dimesso da capogruppo e ha rinunciato a correre.
Nome di peso tra i democratici subalpini, eletto con quasi 4.500 preferenze nella precedente corsa in Regione, nel 2019. Mite di carattere e sempre presente nei tavoli che contavano, a cominciare da quello, poi risoltosi in un nulla di fatto, per costruire un’alleanza coi 5 Stelle e sfidare il governatore Alberto Cirio alle regionali.
Raffaele Gallo non è indagato, ma paga la vicinanza al padre Salvatore Gallo, 83 anni, ex socialista poi confluito nel Pd, animatore dell’associazione politico-culturale IdeaTo. Gallo senior invece è indagato e nelle carte della Procura emerge uno spaccato di come gestiva la sua corrente, che svela l’agilità, per non dire spregiudicatezza, con cui amministrava il potere. Si attivava per sbloccare una concessione, accelerare un condono, o anche soltanto per far allontanare un cassonetto sgradito da un negozio “amico”.
Serviva un intervento medico in tempi rapidi? Salvatore Gallo riusciva a trovarlo. Poi però telefonava chiedendo qualcosa in cambio: “Se non mi trovi cinquanta voti ti tolgo il saluto”. Perché sono quasi sempre i voti la moneta di scambio di questi favori piccoli e meno piccoli, come la tessera per viaggiare gratis sulla costosa A32, la Torino-Bardonecchia al centro del ben più grave filone dell’inchiesta Echidna sulle infiltrazioni della ndrangheta.
I voti a Gallo senior servivano per far eleggere i fedelissimi e legittimarsi. Poi cercava le nomine per i suoi, anche facendo pressioni sul neoeletto sindaco di Torino Stefano Lo Russo per nominare un assessore che, secondo Gallo senior, gli spettava. In quel caso non ci riuscì, visto che il sindaco ha “scelto persone competenti sulle materie specifiche”. Uno di quei casi, confortanti a dir la verità, in cui la politica dietro le quinte si comporta come professa in publico.
Ma dopo i fatti pugliesi Elly Schlein ha chiesto il pugno di ferro. Raffaele Gallo era già quasi sepolto sabato sera, con la nota stampa inviata dal segretario del Pd piemontese Domenico Rossi. Come spesso accade, la notizia stava in fondo: “Ritengo necessario riaprire alcuni ragionamenti fatti sulle liste di Torino per le elezioni regionali”. Era l’anticipazione dello stop alla corsa di Gallo junior. Suo padre invece dovrà sottoporsi al giudizio della commissione di garanzia del Pd, primo passo verso l’espulsione.
Così l’inchiesta azzoppa i dem subalpini, già pronti alla sconfitta contro Alberto Cirio, e che ora dovranno cercare di mantenere la seconda posizione rispetto a un Movimento 5 Stelle non particolarmente triste dello scandalo che ha coinvolto il Pd piemontese.
Sabato i grillini hanno dato il via alla corsa in Piemonte di Sarah Disabato. C’era anche Chiara Appendino, l’ex sindaca di Torino oggi numero due di Giuseppe Conte, che non ha mai dimenticato l’opposizione durissima che il Pd le fece in una città che riteneva sua di diritto, e che oggi ha riconquistato. Non poteva perdere l’occasione per togliersi qualche sassolino: “Non spetta a me, spetta a Elly Schlein decidere cosa fare del Partito Democratico, ma che ci fossero dei problemi politici ad oggi attualmente irrisolti nel Pd torinese penso fosse una cosa nota a tutti”. Non ci è andata leggera Appendino, che ha voluto aggiungere un giudizio d’insieme su quanto trapelato nei giornali: “Emerge un quadro desolante della politica e mi auguro che non si voglia delegare questo alla magistratura e nascondere la testa sotto la sabbia”.
Un attacco frontale alla “moralità” democratica. In realtà la questione delle correnti è delicata: è legittimo avere diverse affiliazioni ideologiche in un grande partito come il Pd, ma il rischio che queste vicinanze si riducano a mere clientele c’è. Nel Pd torinese ci sono appartenenze a tribù locali che vanno ben al di là delle posizioni prese durante la sfida tra Bonaccini e Schlein. Appartenenze sulle quali malignavano gli stessi dem anche in tempi non sospetti: “Qua a qualcuno ogni tanto arriva una velina con su scritto cosa deve votare”. Si sfogava così, soltanto un paio di settimane fa, un consigliere del Pd torinese.
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