Il “dibattito” si è aperto ma pare più un (ennesimo) “volo di stracci” che non tanto una dialettica interna al Partito Democratico: dopo l’uscita di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, sulla mancanza di vera leadership da parte del Segretario Nicola Zingaretti e sulla necessità di un congresso immediato, le acque in casa dem sono tutt’altro che serene. Oggi l’esponente dem un tempo vicino a Matteo Renzi ribadisce la linea in un’intervista a Repubblica: «Serve un cambio di marcia deciso, con un Pd non più accondiscendente verso gli alleati 5 Stelle e ministri Dem in ruoli chiave nell’esecutivo», così sottolinea Giorgio Gori la necessità di una “svolta” di Zingaretti e di tutto il partito. Nonostante la recente Direzione Pd abbia confermato pieno sostegno al Segretario eletto dopo la duplice esperienza di Matteo Renzi al Nazareno, per Gori l’emergenza Covid insegna che «non bisogna appiattarsi sulle posizioni di Giuseppe Conte»: non solo, per l’ex dirigente Mediaset «congresso subito, in autunno potrebbe essere troppo tardi per salvare il Paese. In questa fase così difficile serve un Pd molto più determinato e incisivo».



Per Gori la chiave di rilancio del Pd è già stata indicata dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco nelle sue critiche al Governo Conte: «quest’anno avremo un crollo del Pil, tra il 9 e il 13 per cento, e rischiamo di perdere tra 1,2 e 2 milioni di posti di lavoro. È arrivato il momento di accelerare le riforme di cui il Paese ha bisogno. I sussidi servono per tamponare l’emorragia, ma non bastano. Dobbiamo tornare a far crescere l’Italia, di almeno l’1,5 per cento all’anno, o saremo travolti. E il Pd, come forza di sinistra e di governo, ha il dovere di fare, non solo di enunciare, le cose che servono per ottenere quel risultato».



GORI ATTACCA ZINGARETTI

Secondo il sindaco di Bergamo – con tesi e contenuti molti simili alle invettive e critiche dell’Italia Viva renziana – il Pd doveva cambiare marcia al Paese ma ne è rimasto schiacciato: «il partito del lavoro, il punto di riferimento dei lavoratori, degli operai e degli imprenditori, dei precari e delle partite Iva, delle donne e dei giovani, e non lo siamo. L’accordo con i 5 Stelle ha spostato il nostro baricentro sulla protezione sociale, come se potesse esistere senza creazione di ricchezza e crescita. Vedo ritornare vecchi pregiudizi anti-impresa e l’idea dello Stato imprenditore, tendenza Mazzuccato. Non possiamo interpretare questo rapporto come un’alleanza strutturale in cui pur di andare d’accordo si sacrificano tratti fondamentali della nostra identità».



Mentre infiamma la polemica interna al Pd (Marcucci, Bettini, Rossi si sono espressi sul fronte opposto «non è il momento di cambiare leadership ma servono le riforme»), Gori elenca i tanti “peccati” dei dem in questo Governo: «impegno a varare lo Ius culturae e a cancellare i decreti (in)sicurezza voluti da Salvini. Non abbiamo toccato Quota 100 né corretto il reddito di cittadinanza. Abbiamo digerito la cancellazione della prescrizione e il decreto intercettazioni, non abbiamo risolto i casi Ilva, Alitalia e Autostrade; sulla legge elettorale abbiamo sacrificato la nostra proposta; dopo tre voti contrari abbiamo votato sì al taglio del 30 per cento della rappresentanza parlamentare..».

Ce l’ha con Zingaretti? Secondo Gori non è quello il punto: «simpatia e stima personale nei confronti di Zingaretti, e nessun pregiudizio. Non voglio affatto personalizzare la questione. Osservo però la difficoltà del Pd a essere una forza davvero riformista. Riforma della pubblica amministrazione, della giustizia, fiscale: da quanto ne parliamo? Il segretario coltiva l’unità, e io sono per l’unità, ma la concordia non può essere né un feticcio né un fine ultimo. E non può sequestrare il dibattito interno».

L’ORLANDO “FURIOSO”

Al Giorgio Gori scatenato che chiede quel congresso fondato più volte evocato nei mesi pre-Covid da Zingaretti, risponde sui social il vicesegretario Andrea Orlando tutt’altro che “incline” ad accettare le proposte del sindaco di Bergamo: «È scritto nei manuali. Se dopo una pandemia (forse non ancora conclusa) nel pieno di una crisi economica e dopo due scissioni un partito riesce quasi a raggiungere la principale forza avversaria la cosa migliore da fare è una discussione su un congresso che non c’è», scrive l’ex Ministro della Giustizia.

La replica arriva diretta da Giorgio Gori e cita gli ultimi sondaggi: «Swg dà il Pd al 19%, 4 punti sotto le Europee, al livello del disastroso risultato del marzo 2018, il peggiore di sempre. Nel frattempo la destra si è rimescolata (ma è sempre vicina al 50%). I 5 Stelle si sono dimezzati ma il Pd non ha guadagnato nulla. Vedi tu». La controrisposta fa emergere tutta la difficoltà di un dibattito “sereno” e anzi dimostra gli animi sempre più “caldi” tra i dem: «Scissioni? Comunque vedrai dopo questo dibattito aperto così (c’è stata una direzione pochi giorni fa) e in questo momento (nel pieno della manovra economica più difficile della storia recente) che balzo in avanti!», conclude un Orlando più “furioso” che disponibile ad accogliere le istanze di Gori e di parte della corrente degli “ex renziani” nel Pd.