In una dichiarazione fatta durante un talk-show televisivo, Fausto Bertinotti è stato categorico: “La sinistra è morta”. Forse il risultato elettorale, con la netta vittoria del partito più di destra in Italia, lo ha portato a una sentenza di profondo pessimismo e delusione. Ma Bertinotti, ex leader di Rifondazione comunista, non è stato il solo a suonare questa campana a morte per la sinistra.
C’è un discorso complessivo, che riguarda diversi Paesi, per cui dopo la caduta del Muro di Berlino e il sedicente trionfo del neoliberismo la sinistra ha perso il riferimento della sua antica identità e di conseguenza elettori e peso politico. In un grande rimescolamento politico dopo la fine delle ideologie, persino nella “patria della socialdemocrazia”, la Svezia, al governo è andata la destra. Ma forse nessuno ci pensava o lo immaginava.



Tuttavia nella ritirata politica generale della sinistra nei Paesi dell’Occidente democratico occorre fare distinzioni e ricostruire una storia complessa che non è omologabile in tutte le democrazie.
L’analisi della “morte della sinistra”, meglio dire di una lenta agonia ancora in corso se non si trova una rinnovata identità, in Italia ha un carattere particolare e una storia che deve essere riscritta con verità, non a uso e consumo di chi pensava che in questo Paese la formula del catto-comunismo potesse trasformarsi in una sorta di nuova democrazia, di “democrazia progressiva” come ripeteva in modo quasi ossessivo Palmiro Togliatti, anche quando brindava all’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 o quando si opponeva, con incredibile durezza, all’autentico rinnovamento che all’interno del Pci conduceva Giorgio Amendola dopo il XX congresso del Pcus ad avanzare la proposta di un partito unico di tutte le sinistre in Italia. C’è un articolo su Rinascita del 17 ottobre del 1964, naturalmente dimenticato, che propone il superamento del leninismo e il recupero del riformismo che in Italia era stato prima emarginato dai comunisti nel 1921 a Livorno, poi liquidato fisicamente dai fascisti e infine dimenticato fino al congresso di Palermo del Psi nel 1980, quando Bettino Craxi sostituì la corrente “autonomista” con quella “riformista”, suscitando scandalo, anche nel suo partito, perché ancora in quei tempi “riformista” nella sinistra italiana era considerata una parola da non usare e un’identità che frenava la svolta democratica di un Paese. Cose incredibili pensando a quello che avviene oggi.



Le manipolazioni storiche della sinistra comunista, appoggiata da una parte di cattolici, sono state irritanti, a tratti volgari e soprattutto ipocrite. E non sono finite neppure con il post-comunismo.
Si è cominciato con la Resistenza, passata come un fenomeno “rosso” comunista. Ora, nessuno nega il ruolo che ebbe il Pci nelle formazioni partigiane, ma socialisti, socialdemocratici, azionisti, cattolici che non avevano nulla in comune con i comunisti, repubblicani e persino uomini di destra come Edgardo Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, ebbero un ruolo uguale al Pci e decisivo nell’affiancare gli Alleati fino alla Liberazione.



La svolta della Resistenza nel novembre del 1944 con i patti di Roma tra formazioni partigiane e Alleati fu concordata da quattro esponenti italiani con il ministro plenipotenziario inglese, Harold McMillan. I quattro italiani che parteciparono alla trattativa erano Alfredo Pizzoni, il capo della Resistenza, del Cln fino al 28 aprile 1945 (tuttora mai ricordato e onorato) che era senza partito; Edgardo Sogno, capo della Brigata “Franchi”; Ferruccio Parri, l’azionista primo presidente del Consiglio finita la guerra, e Giancarlo Pajetta per il Pci. Si concordò il ruolo della strategia e le formazioni partigiane furono anche adeguatamente fornite di quattrini, aiuti e armi fino alla Liberazione.

Questo fu il primo momento stravolto dalla storiografia di marca comunista. Quando Renzo De Felice insegnava storia all’università e ricordava che cosa era stato il fascismo e chi lo aveva battuto, veniva contestato. Quando, più tardi, Giampaolo Pansa ricordò in molti libri la storia della Resistenza con i crimini di una guerra civile che avevano compiuto i fascisti ma anche i partigiani, con vendette orrende come nel “triangolo della morte”, venne minacciato; Ogni volta che Pansa presentava un suo nuovo libro bisognava chiamare la polizia per difenderlo dalle contestazioni e dalle aggressioni.

Alla fine passò come una parola d’ordine, quasi come una legge, il titolo di un libro di Luigi Longo, La Resistenza tradita. Era questa la cultura dominante che doveva affermarsi.
Poi arrivò anche il resto, con il Pci diventato il partito comunista più grande di tutto l’Occidente democratico, il compromesso storico tra imbrogli e incertezze, l’eurocomunismo col quale si incaricò direttamente Leonid Breznev di far “dimenticare a Berlinguer” nell’ottobre 1978, in modo piuttosto brusco minacciando anche un “taglio delle spese”. Di fatto però grandi giornali, studiosi stravaganti, industriali interessati a creare un “ponte” con l’opposizione di classe e una magistratura militante diedero alla sinistra comunista il ruolo della “vera sinistra”.

Tutto questo avveniva mentre il Psi aveva riguadagnato il suo ruolo riformista che si rifaceva a Filippo Turati e Anna Kuliscioff. E anche se i socialisti guadagnavano lentamente voti e venivano attaccati dalla maggioranza del Pci, il segretario Bettino Craxi esercitava un ruolo fondamentale a livello nazionale e soprattutto internazionale, diventando vicepresidente dell’Internazionale Socialista, uomo politico italiano di riferimento per Willy Brandt, Helmut Schimdt, Olof Palme, François Mitterrand e Felipe Gonzales.

Quando nel 1989 cadde il Muro di Berlino, che sanciva il crollo del comunismo, il Pci dovette per prima cosa reinventarsi un’identità, arrivando addirittura a cambiare nome. Ma il fallimento del comunismo provocava in Italia un ripensamento generale di tutto l’assetto politico italiano. Si stava formando lentamente, ma inesorabilmente, una nuova maggioranza che poteva battere e, in un certo senso lo stava già battendo, il blocco di potere catto-comunista.

All’operazione di non far passare il nuovo blocco laico che si stava formando (che comprendeva anche una parte dell’ormai ex Pci) parteciparono in tanti, anche lobbies economiche estere attraverso una quasi selvaggia operazione di privatizzazione di una parte pubblica importante dell’ economia italiana. Nel 1992, con un attacco irresponsabile, a cui partecipò anche l’ex Pci, arrivò anche la svolta della politica italiana con la liquidazione dei partiti democratici, un’instabilità spaventosa, l’inizio di una serie di governi tecnici che non trovano riscontro in nessun altro Paese del mondo. Per partecipare al gioco l’ex o post Pci diventò liberale in economia, accettò il nuovo ruolo della finanza, cercò di inventarsi un passato “riformista” con un congresso para-comico condotto da Walter Veltroni, dove si disse tutto e il contrario di tutto. Veltroni si spacciò addirittura come un kennediano travestito all’interno del partito di Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta e D’Alema.

Passando tra querce e ulivi si arrivò anche al Partito democratico, la culla o forse la bara del catto-comunismo, che cominciava a collezionare sconfitte e contrasti interni insanabili.
Intanto il Paese, tra un’Europa incompiuta, un riassetto geopolitico che non si affrontava, le crisi procurate dalla finanza d’assalto e il “parlamento mondiale” di Davos, cominciava a disaffezionarsi alla politica. Si è passati in trenta anni attraverso quattro governi tecnici (Ciampi, Dini, Monti e Draghi rappresentano un record mondiale e un’anomalia solo italiana), una precarietà del lavoro, un ruolo più limitato del sindacato, l’acuirsi delle disuguaglianze sociali, un sistema che non cresce più.

L’identità poteva essere l’europeismo, anche quando non passò la Costituzione europea, anche quando l’Europa divenne a 27 con il veto valido anche di Cipro o Malta sulle decisioni da prendere. Anche quando si sono salvate le banche e si è pugnalato la Grecia. E ora il Pd non sembra giudicare con severità la Germania che spende 200 miliardi per frenare il prezzo dell’energia e guarda solamente ma non fa nulla per muoversi, come invece fanno Spagna, Francia e Portogallo. Ci sono persone che chiedono: ma il Pd è interessato al rincaro mostruoso delle bollette dell’energia che può fermare le fabbriche di un intero Paese e mettere in ginocchio le famiglie? Che cosa dice in questa Europa, tanto unita da far morire dal ridere in questa particolare occasione?

In questo quadro, il post-comunismo si è perso tra accordi incredibili, sconfitte e “ponti” con il movimento creato da un comico, cambiando intanto segretari come fossero dei portieri d’albergo. La vecchia base che ha cercato di resistere nelle zone dove si era insediata di più, ha resistito per un po’ di tempo, poi ha cominciato a disertare le urne o addirittura a cambiare voto.
Nella totale mancanza d’identità, nelle scollamento dalla realtà, oggi la sinistra frammentata in tanti spezzoni, con Il Pd capofila di un sedicente riformismo che non ha mai conosciuto, è riuscita in un’impresa farsesca che Marx aveva previsto in un suo libro: se il fascismo, secondo Angelo Tasca in Nascita e avvento del fascismo, aveva visto gli errori della sinistra comunista che aveva favorito la tragedia del fascismo, oggi il Pd e i suoi amici hanno favorito con errori marchiani la farsa della vittoria elettorale in Italia del partito più a destra che esiste al momento in Italia.
Questa operazione è forse l’unica cosa di Marx che è rimasta al Pd.

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