I vecchi leoni del Partito democratico, ex ulivisti per lo più, hanno i cellulari bollenti in queste ore. Non tanto per le chiamate dei neo-eletti o degli esclusi, ma per la miriade di messaggi e analisi informali che girano nelle chat dei grandi saggi. Il gruppo dirigente del Pd non esiste più e la prova sono le decine di autocandidature a segretario che fioccano improvvide dai social e dalla stampa. Questo vuoto terrorizza i padri del grande progetto di fusione tra l’anima cattolica di sinistra ed i riformisti del vecchio Pci, scoraggiati dalla pochezza che vedono.



Nessuna analisi sociale, nessuna presa di coscienza della sconfitta. Non tanto per i voti, che restano pochi come quelli del 2018, quanto per non aver compreso la portata tragica del consolidamento del vero antagonista in quella area. Giuseppe Conte è oggi un leader più forte di qualunque candidato del Pd a venire. Due volte presidente del Consiglio, passato per il sacro fuoco delle elezioni ribaltando chi lo vedeva finito, ha una truppa di fedelissimi in Parlamento e non ha neppure la pressione dei territori a dargli disturbo. Si appresta a concentrarsi in un’operazione di consolidamento del suo ruolo di capo dell’opposizione per mancanza di interpreti nel Pd. E soprattutto ha un ceto popolare di riferimento ed un radicamento nelle aree in cui ha vinto con oltre il 40% dei voti. Un popolo concentrato e con esigenze chiare.



Contro di lui è difficile andare. Perciò la tentazione è quella di consegnarsi al nemico e tentare di insinuarsi tra le sue truppe prendendone le bandiere e fagocitandolo. Schema vecchio ma sempre efficace perorato dai maestri della realpolitik di sinistra, che vedono in questa posizione un futuro per loro (o per i loro). Il Pd di Bettini non vede l’ora di aprire una fase costituente di una nuova forza che inglobi il tutto, grillini e piddini, in una marmellata populista, più che popolare, scacciando quelli che ancora vogliono tenere il punto del riformismo democratico.

Ma questa prospettiva è del tutto aliena ai democratici riformisti, prodiani e riformisti, moderati nei toni e che vedono in Conte il re del populismo a cui dare la caccia. E soprattutto il vero nemico a sinistra.



Ed è per questo che i fronti iniziano a spaccarsi. Tra chi vuole tentare di tenere assieme la creatura, rimettendosi a cucire tra le diverse anime e provando a resistere alle sirene che vedono Conte da una parte e Calenda dall’altra, e chi vuole uno scontro definitivo che sciolga il partito e consenta di rifondarlo. Ma la partita non sarà semplice. Il Pd ha migliaia di amministratori locali, sindaci e presidenti di regione che mal digerirebbero la dissoluzione. E sono loro che in queste ore stanno tentando di avviare un dialogo e ripartire dal locale per mettere da parte i dirigenti nazionali. A loro manca solo un nome forte credibile. Che assomiglia a quello di Bonaccini.

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