È da quando è stata nominata segretaria del Partito democratico che si parla con insistenza, e con sicura speranza da parte di molti, di un “effetto Schlein”. È naturalmente una speranza positiva, con un Pd che dovrebbe essere al centro del dibattito politico del Paese e puntare a diventare il primo partito del Parlamento.



È da più di un anno, esattamente dal 12 marzo 2023, che Elly Schlein (non solo una politica italiana ma anche cittadina americana, naturalizzata svizzera) è stata nominata con una procedura strana: una doppia votazione, prima interna al partito, poi tra un mare di simpatizzanti o presunti tali.

Il risultato è stato che la prima volta Schlein ha perso, la seconda ha vinto. Tutto normale? La seconda repubblica offre situazioni politiche che solo qualche decennio fa erano addirittura impensabili. Sono proprio tutti rimasti contenti?



Ma non discostiamoci dalla speranza, dall’“effetto” che doveva sconvolgere la politica italiana dopo una raffica di governi tecnici, un Pd in altalena costante di voti, un numero non indifferenti di segretari e con gli ultimi risultati prima di Elly che non promettevano nulla di buono.

Ripetiamo. Non tutti nel Pd erano soddisfatti di questa soluzione, tanto meno un uomo concreto come il governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, giovane ma figlio della vecchia scuola del comunismo emiliano, più disposto ai compromessi e a una politica realistica. Forse sarà solo un’impressione, ma la sconfitta “esterna” di Bonaccini non è stata completamente digerita all’interno del partito.



Ma soprattutto c’è la conferma che da più di un anno e mezzo il centrodestra irrita il mondo della sinistra, che non riesce a trovare alternative. E nonostante i contrasti che esistono anche nel centrodestra, non sembra appunto che ci siano prospettive di un improvviso recupero del centrosinistra o di una caduta del centrodestra.

A questo si aggiunga che la crescita in un anno del Pd, nonostante un dichiarato spostamento a sinistra, è oscillante, secondo i sondaggi, e il margine di distanza tra il partito di Giorgia Meloni e quello di Elly Schlein oscilla sempre da un anno tra il 7 e il 9%.

A questo punto molti cominciano a ricredersi sul cosiddetto “effetto Schlein”. Pareva cominciata bene la partita elettorale regionale e locale che accompagna l’Italia alle elezioni europee. Pur con una vittoria risicata e dopo un conteggio estenuante, per un pugno di voti in Sardegna il nuovo governatore è la pentastellata Alessandra Todde, eletta con un accordo tra M5s e Pd.

Ma la speranza viene subito infranta dal risultato delle regionali dell’Abruzzo, dove vince largo il centrodestra.

In tutti i casi di riparla di un recupero o comunque di un possibile “testa a testa”, ma una ventina di giorni fa arriva uno di quegli episodi che entrano inevitabilmente in tono duro e grave nel dibattito politico.

Mentre in Parlamento si discute e si mettono in votazioni (perdenti) le dimissioni di Matteo Salvini e di Daniela Santanché, a Bari, sia alla Regione che al Comune succede il finimondo. Si mescola tutto in un affare di brogli elettorali, cosche mafiose, dichiarazioni scomposte del governatore Pd della Puglia, Michele Emiliano, e reazioni un po’ sopra le righe del sindaco di Bari (anche lui Pd) Antonio Decaro.

C’è chi parla, ma è solo una voce che gira, di un duro contrasto tra governatore e sindaco. Ma, a parte questo, c’è lo scandalo su cui indaga la magistratura, ci sono arresti. E, come se non bastasse, scoppia un caso simile il Piemonte, con uomini del Pd sempre al centro delle indagini.

A questo punto, come un boomerang che arriva dal lontano 1981 nello scontro tra Berlinguer eNapolitano, scoppia una nuova questione morale nel Pd come ai tempi del “nonni” del Pci.

Inevitabile pensare che la questione stia diventando più seria di quello che si pensi. Perché proprio dopo la costruzione “problematica” del cosiddetto “campo largo” (M5s insieme al Pd e ai minori di sinistra) si passa in pochi giorni a uno scontro aperto tra grillini e partito di Elly Schlein, con il leader pentastellato Giuseppe Conte (il vedovo di Palazzo Chigi) che si sfila dall’accordo con il Pd e non partecipa alle primarie per le elezioni europee e tanto meno agli accordi regionali. Conte sembra scatenato, anche contro Elly Schlein. La accusa soprattutto di non liberarsi di “boss e cacicchi” che sono nel suo partito.

Naturalmente c’è la replica di Elly Schlein, ma soprattutto dei “presunti boss e cacicchi” che mai vorrebbero fare un accordo con Conte.

A questo punto come si fa, a meno di imprevisti e sorprese, a tallonare se non battere il centrodestra italiano? Al momento, dall’effetto-Schlein al sogno ripetuto fino alla noia del campo largo, è arrivato un boomerang che fa diventare sempre più tranquilla Giorgia Meloni. E passano in seconda linea anche le divisioni sulla politica estera.

Che dire? Solo una sinistra tanto scombicchierata come quella italiana può far rinascere un centrodestra con una certa compattezza difficile da mettere in crisi.

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