Le prime due settimane di Enrico Letta a Segretario del Pd hanno visto una sorta di “ricalibratura” e “riposizionamento” dei Dem sullo scacchiere politico, con non poche polemiche suscitate dai primi atti dell’ex Premier: fuori i capogruppi “renziani” in Parlamento (Delrio e Marcucci), temi imposti di Ius Soli, voto 16enni e immigrazione, ma soprattutto l’imposizione della presenza di due donne come nuovi responsabili del Partito alla Camera e al Senato. Se però a Palazzo Madama la “corsa” è stata in solitaria di Simona Malpezzi, votata all’unanimità dai senatori dem, sulla Camera rischia di consumarsi l’ennesima lotta fratricida interna al Pd: Marianna Madia (ex Ministra PA, corrente vicina a Gentiloni) e Deborah Serracchiani (ex Presidente Friuli Venezia Giulia, presidente Commissione Lavoro alla Camera, corrente vicino a Base Riformista) sono amiche e candidate, con “lasciapassare” dell’ormai ex capogruppo a Montecitorio Graziano Delrio.
Il problema è che quella “sana competizione” annunciata da Letta (che non ha voluto sceglierne una, ndr) non sembra proprio avvenire: «Debora è una persona autorevole. Ma di cooptazione mascherata si tratta», attacca Madia in una lettera ai deputati del Pd. L’attacco è contro Serracchiani ma in realtà affonda il colpo contro Delrio: «con Graziano che ho sempre considerato persona di valore, ci legano anni di lavoro comune prima al Governo e poi in questa legislatura così complicata. E’ stato proprio lui, dopo aver accettato l’invito del nuovo segretario a fare un passo indietro, a chiedermi di mettermi in gioco con la mia candidatura insieme a quella della mia amica stimata Debora Serracchiani».
CAOS NEL PD DI ENRICO LETTA
A quel punto, la competizione sembrava iniziata nel migliore dei modi sennonché – denuncia ancora Marianna Madia nella lettera pubblica ai Dem – «quello che poteva essere un confronto sano tra persone che si stimano si è subito trasformato in altro. Immediatamente si è ripiombati nel tradizionale gioco di accordi trasversali più o meno espliciti con il capogruppo uscente, da arbitro di una competizione da lui proposta, che si è fatto attivo promotore di una delle due candidate, trasformando ai miei occhi il confronto libero e trasparente che aveva indetto in una cooptazione mascherata». Madia non usa parole dure contro Serracchiani, ma è come se lo facesse quando attacca «Debora è una persona autorevole. Ma, ripeto, di cooptazione mascherata si tratta. Questa distanza tra forma e sostanza non è sana: non far seguire a ciò che diciamo il nostro comportamento penso sia una delle cause del perché non riusciamo più a esprimere la vocazione espansiva del nostro partito. Non posso negare il dispiacere umano per quello che si è verificato. Non è un problema solo di questo passaggio, ma più in generale di come si fa politica».
LA DIFESA DI DELRIO E SERRACCHIANI
Inevitabili le reazioni dei due principalmente accusati di “cooptazione”, mentre il resto del Pd si agita in queste ore per provare a chiudere la polemica e arrivare il più presto possibile a definire la nuova capogruppo alla Camera: «Non ho fatto trattative anche perché direi di aver già fatto la mia parte. E forse di non meritare accuse di manovre non trasparenti o di potere visto che a quel potere ho voluto rinunciare lasciando immediatamente il mio incarico», spiega sui social Graziano Delrio, capogruppo uscente del Pd. «Certe parole mi feriscono oltremodo perché non corrispondono alla realtà e perché vengono da persona che ho stimato sempre. Credo e spero che si tratti di amarezza e, mi sia consentito, la mia storia personale e politica parla per me», conclude l’ex Ministro del Lavoro.
Gli fa eco Deborah Serracchiani che si dice incredula della lettera dell’ex Ministra PA: «Non posso credere che Marianna intenda riferirsi a me come a una persona cooptabile e quindi, dovrei supporre, non autonoma. No, l’autonomia è stata la cifra della mia storia personale e politica, e anche quando sono stata accanto a qualcuno l’ho fatto lealmente, condividendo idee e mantenendo libertà di giudizio». Agli occhi degli elettori, il rischio più grande – confidano diverse “voci” vicino ai Dem – è che l’obiettivo nobile di una più ampia partecipazione anche alle figure femminili all’interno del Partito Democratico si trasformi in un “diktat” ideologico (la parità di genere) che semina, ancora una volta, una inevitabile e fratricida guerra tra correnti.