Corre l’anno 2023. Sono passati più di quarant’anni dalla morte di Enrico Berlinguer e quasi cinquanta da quella di Aldo Moro, che aprirono l’era della decadenza della politica. Non fu un caso che si era alla soglia degli anni Ottanta del Novecento: anni che resero manifesta l’incapacità dell’italica borghesia produttiva di inserirsi in forme non subalterne nell’onda delle interdipendenze economiche mondiali che s’approssimavano, creando grandi gruppi competitivi che soli potevano salvare l’Italia dalla decadenza.
Fu un trionfo dì incapacità e un tonfo di dimensioni irreversibili. Nelle culture politiche iniziava contestualmente il delinearsi di quel che si invera in questi mesi: ossia l’autodissolvimento di ciò che rimane dell’Ulivo e poi del Partito democratico sino alla sua ultima versione in guisa di operazione di intelligence francese con segretario catapultato dall’alto: senza congresso e senza elezione, che come tali sono frutto di un dibattito politico.
La matrice di tutto sul fronte comunista risiede nella torsione da complotto mongolo-moscovita assunta dalla destituzione di un ammalato Alessandro Natta, che fu rimosso nel suo letto di dolore da un manipolo di giovani turchi assetati di potere guidati da Achille Occhetto e Massimo D’Alema. Il fronte democristiano fu arcipelago di mutazioni strutturali delle fonti del potere sulla base dell’eliminazione per via giudiziaria dei capi storici, sull’onda della creazione del sistema di affermazione delle liberalizzazioni di marca anglosassone in quel sistema che ormai abbiamo studiato e vivisezionato negli studi sulla creazione e utilizzazione del sistema corruttivo.
Questi terremoti tracimano ora in rovine, il processo politico è capovolto: non sono più le masse organizzate a eleggere – pur con i metodi dell’elitismo – i capi, ma questi ultimi a proporsi e a eleggere le masse medesime, algoritmicamente plasmate in un trionfo di un nuovo riverberarsi di colpi di stato mongolo-moscoviti che ora hanno il volto delle star della comunicazione e non più dei normalisti e degli attivisti politici colti.
Il processo non può che essere autopoietico e distruttivo insieme, in un crescendo rovinoso che si dipana sotto i nostri occhi con tragicità crescente. E pensare che la soluzione era quella storica e conseguente a più di un secolo di tragiche lotte e proposta nel 1964 da un illuminato Giorgio Amendola. Egli indicò l’unica via organica e storica: quella del partito dei lavoratori italiani unificando Pci e Psi.
La storia non inganna. Ma condanna alla scomparsa morale chi a essa non s’ispira.
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