Che la corruzione costituisca un cancro della società è quello che tutti affermano, anche se poi alla resa dei conti in ben pochi Stati si lotta per combatterla: essa in molti costituisce addirittura un collante istituzionale che alimenta l’intero arco politico del potere.

L’America Latina costituisce un esempio di come questo fenomeno sia radicato in maniera più importante che in altre parti del mondo, tanto da far addirittura parte del colore politico che contraddistingue il potere e diventare quasi una scienza, al punto tale che la sua evoluzione aumenta e diventi quasi un fatto culturale. È questo difatti il collante che unisce il liberalismo (o almeno una certa sua espressione) al populismo che alla fine, pur se da fronti ideologicamente opposti, convergono irrimediabilmente sul suo uso sistematico.



Dove invece le cose sembrano andare per il “verso” giusto (una condanna della corruzione), ma provocano problemi di gestione politica non indifferenti, è il Perù, che nell’arco di pochissimo tempo e soprattutto a causa di uno dei più grandi fenomeni di corruzione del Continente, il caso Odebrecht, è già arrivato alla terza destituzione presidenziale.



Difatti nei giorni scorsi l’industriale Manuel Merino, già Presidente delle Camere, che si era trasformato nel nuovo Presidente del Perù dopo che il Parlamento aveva obbligato il suo predecessore Martin Vizcarra alle dimissioni, accusandolo di corruzione per aver percepito la somma di 630.000 dollari in cambio della concessione di contratti per opere pubbliche quando era Governatore del Dipartimento di Moqueagua, nel Sud del Paese, si è dovuto dimettere.

La sua carica è durata meno di una settimana, perché le violente manifestazioni che si sono sviluppate in tutto il Paese con il bilancio di due morti lo hanno obbligato a lasciare dopo la rinuncia di ben 10 ministri del suo dicastero.



Il problema urgente di trovare un Presidente ad interim in grado di traghettare il Paese alle elezioni che si svolgeranno nel 2021 è stato risolto con la nomina dell’Ingegnere Francisco Sagasti, centrista, che si spera possa riuscire nella difficile operazione.

Difatti negli ultimi 30 anni i sei Presidenti che si sono succeduti alla massima carica del Perù si son dovuti dimettere per corruzione: tre sono tuttora indagati, uno è in carcere, un altro in esilio e uno si è suicidato poco prima di essere arrestato. Si tratta di Alan Garcia, il camaleontico politico che è stato l’unico membro del partito radicale di sinistra Apra (Alleanza Popolare Rivoluzionaria Americana) a raggiungere la più alta carica politica del Paese, prima nel 1985, con politiche talmente disastrose in una nazione gravemente colpita sia dall’inflazione che dal terrorismo del gruppo Rivoluzionario “Sendero Luminoso”, da venire successivamente sonoramente sconfitto dal candidato neoliberista di origini giapponesi Alberto Fujimori, in seguito proclamatosi dittatore dopo un colpo di Stato nel 1992. Rieletto nel 2006 ha compiuto il suo secondo mandato convertendosi al neoliberalismo e rimanendo impigliato, dopo aver espletato la sua seconda Presidenza, nello scandalo Odebrecht, un’impresa di costruzione Brasiliana coinvolta nel gigantesco scandalo denominato Lava-Jato (autolavaggio) perché esploso dopo la scoperta di fatturazioni strane emesse da un autolavaggio. Si è trattato si di un lavaggio, ma di denaro, all’interno dell’impresa petrolifera brasiliana Petrobras, di cui Odebrecht ha rappresentato l’ala che ha riciclato molti dei 9,5 miliardi di dollari con complicità in Paesi latinoamericani che hanno provocato ondate di arresti tra le più alte cariche politiche del Continente.

Ma è con l’emergenza Covid-19 che il Perù ha toccato con mano, visto l’altissimo numero di contagi, come la corruzione possa uccidere. Molti morti sono difatti dovuti alla mancanza di strutture e materiali sanitari per assistere l’ondata di infettati che si è abbattuta sul Paese.

È curioso ora prevedere come finirà il valzer di Presidenti in una democrazia ormai arrivata al punto di confusione totale da non sapere quale futuro costruirsi per mancanza di “materiale umano politico” decente: ciò apre inevitabilmente le porte o a un colpo di Stato oppure alla gestione del populismo del potere, che pure in Perù troverebbe alleati tanto il narcotraffico come la criminalità organizzata. La speranza però è che si possa ricomporre una maggioranza politica in grado di affrontare le elezioni, anche perché, come giustamente diceva Winston Churchill: “È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora”.