Nella riunione governo-Regioni per rimodulare il piano vaccini si è deciso di somministrare 2 milioni di dosi a febbraio, 4 milioni a marzo e 8 milioni ad aprile, per un totale di 14 milioni in un trimestre. Intanto la Francia ha annunciato che produrrà in proprio i sieri Pfizer e Moderna, mentre la Commissione Ue ha proposto di finanziare l’ampliamento o la trasformazione delle fabbriche farmaceutiche per evitare vuoti produttivi. Dopo i dubbi sull’efficacia del vaccino AstraZeneca e dopo i tagli alle forniture di Pfizer e Moderna, che hanno rallentato se non fermato le campagne vaccinali nei paesi Ue, si studiano le contromosse più utili per prevenire in futuro nuove strozzature e garantire una campagna vaccinale in grado di avvicinare il più in fretta possibile il traguardo dell’immunità di gregge. Siamo sulla strada giusta? Ci sono soluzioni praticabili anche in Italia? E bastano gli annunci per correggere o rilanciare il piano vaccini italiano? Ne abbiamo parlato con Mario Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Potrebbero verificarsi altri intoppi nella fornitura delle dosi da parte dei produttori di vaccini?
E’ possibile, perché è difficile non pensare che non ci possano essere ancora degli intoppi.
Come si può ovviare a queste carenze di dosi?
Si possono fare diverse cose. Innanzitutto, stare attenti ai vaccini che sono già disponibili.
Per esempio, visti i dati sull’efficacia dello Sputnik V, sarebbe il caso di fare un accordo bilaterale con la Russia per opzionare delle dosi?
Proprio in questi giorni lo si sta valutando e a quanto pare lo Sputnik V ha un’efficacia del 90% circa. E’ molto importante non aspettare l’ultimo momento a prenotarlo. E’ vero che lo potremo utilizzare solo se e quando lo approverà l’Ema, però se noi non lo opzioniamo ci saranno molti altri paesi che lo faranno prima di noi e rimarremo in coda. L’Ungheria ha già fatto accordi sia con la Russia che con la Cina. Anche i due vaccini cinesi prima o poi presenteranno la richiesta di autorizzazione. Cerchiamo di stare attenti.
Ci sono altri candidati vaccini con cui varrebbe la pena di concludere degli accordi di fornitura?
In giro per il mondo ce ne sono altri 60. Possibile che nessuno stia monitorando la situazione, cercando di capire quali siano avanti per poter agire per tempo? E’ un’attività che possiamo e dobbiamo fare.
Uno Stato potrebbe richiedere la licenza del farmaco per produrlo in loco?
E’ la seconda mossa da fare per ovviare alle carenze di dosi, soprattutto con i vaccini Pfizer e Moderna, come hanno fatto in Germania, dove hanno messo a diposizione delle fabbriche per produrre il vaccino Pfizer.
Anche due aziende francesi cominceranno a produrre nel mese di marzo il vaccino di Moderna e nel mese di aprile quello di Pfizer/BioNTech. Dovrebbe farlo anche l’Italia?
Senza dubbio. E’ possibile farlo a livello italiano o almeno a livello europeo.
E se i produttori di vaccini non accettassero di cedere la licenza?
Sarebbe il caso di imporre che ci siano delle licenze obbligatorie.
E’ un’iniziativa che dovrebbero prendere i singoli Paesi o la Commissione Ue?
Meglio se lo facesse l’Europa, anche se la Francia e la Germania già si sono mosse per conto proprio.
La Commissione Ue propone di finanziare l’ampliamento o la trasformazione delle fabbriche farmaceutiche per incrementare la produzione dei vaccini. E’ una soluzione auspicabile?
Certamente, perché dobbiamo fare presto. Non possiamo continuare ad avere un aumento della letalità, visto che stiamo raggiungendo la cifra dei 90mila morti solo in Italia, e poi perché dobbiamo evitare che, lasciando circolare troppo il virus, si formino delle varianti che sono magari insensibili ai vaccini. Anche questo è un punto critico.
In che senso?
Non dobbiamo aspettare e controllare le varianti che trovano gli altri. Dobbiamo avere un consorzio, come in Gran Bretagna, che esegua tante analisi sul virus per capire quali varianti sono già presenti in Italia.
A fine gennaio è stato presentato il Consorzio ministero della Salute-Istituto superiore di sanità per sorvegliare le mutazioni. E’ un passo avanti?
Sì, ma non possiamo dimenticare che in Gran Bretagna hanno fatto finora 180mila sequenze del virus, mettendo insieme 12 università e altrettanti centri scientifici. Per fare quel che è necessario occorre mettere in campo risorse economiche, personale e laboratori. Noi arriviamo sempre in ritardo e senza fare sistema.
Lei ha auspicato che si acceleri anche sul vaccino italiano di ReiThera. Come?
E’ un vaccino che è nella fase iniziale, dove ha già dato risultati soddisfacenti. Ora dobbiamo investire non tanto diventando soci, ma per arrivare il più rapidamente possibile agli studi clinici controllati di fase 3, che richiedono 30mila persone. E’ un passaggio che va pianificato e organizzato.
Il governatore Zaia ha dichiarato: «Cerchiamo ossessivamente vaccini per un Veneto Covid free». E’ giusto che le Regioni si muovano per trovare vaccini attraverso canali free ma in modo legale?
Se si mettono in concorrenza le Regioni tra loro, corriamo il rischio di ottenere poco.
Ieri si è svolto l’incontro tra governo e Regioni per mettere mano al nuovo piano vaccini. Come lo si può correggere e rilanciare?
Un piano vaccini deve innanzitutto sapere quante dosi ha a disposizione. Noi abbiamo puntato molto su AstraZeneca, che però ha un’efficacia media del 60%. Vuol dire che su cento vaccinati, solo 60 sono protetti. Quindi è necessario decidere a chi viene somministrato questo vaccino, che non può essere fatto agli ultra-55enni. In secondo luogo, bisogna pensare a un’organizzazione efficiente, che non si può improvvisare all’ultimo minuto. Dobbiamo prendere esempio dal Giappone.
Come si stanno muovendo in Giappone?
Sapendo quanti vaccini hanno a disposizione, hanno deciso di partire dal 1° marzo per arrivare entro il 31 maggio, cioè in tre mesi, all’immunità di gregge. Il punto qual è? Che in questi due primi mesi dell’anno si sono dedicati alle esercitazioni, simulando quello che dovranno fare per capire dove sono i nodi da sciogliere. Noi invece pensiamo che bastino gli annunci.
A cosa si riferisce?
A quello che sta succedendo nel Lazio, dopo che è stato annunciato che dal 1° febbraio era possibile prenotare la vaccinazione. La gente sta reclamando perché resta delle ore al telefono o manda mail senza ricevere alcuna risposta. Queste sono inefficienze che tolgono fiducia agli italiani, mentre noi abbiamo bisogno di fiducia se vogliamo convincere tutti a farsi vaccinare.
(Marco Biscella)