Caro Direttore,

poche ore prima che il sottosegretario alla Presidenza con delega all’Editoria, Andrea Martella, annunciasse la costituzione di una task force anti-fake news a Palazzo Chigi, su Repubblica è comparsa una vistosa inchiesta sul Pio Albergo Trivulzio.

Lo storico polo geriatrico milanese è finito al centro dei riflettori mediatici – come molte altre residenze per anziani della Lombardia – per un numero anomalo di decessi (70 in marzo, secondo l’articolo, su un totale di 1.300 ospiti) con ogni probabilità collegato con l’epidemia di coronavirus.



Repubblica ha riportato la denuncia di un primario geriatra – il professor Carlo Bergamaschini – esonerato il 3 marzo perché avrebbe imposto l’uso di mascherine protettive. Il direttore generale del Pat, Giuseppe Calicchio, secondo l’inchiesta ne avrebbe invece vietato l’utilizzo anche nei giorni successivi. “Ripetute diffide sindacali – riferisce l’articolo – che parlano apertamente di “gestione sconsiderata dell’emergenza” hanno indotto la Procura di Milano ad aprire un’indagine Modello 44 a carico di ignoti”.



Chi scrive non ha elementi per confermare, smentire o commentare il merito dell’inchiesta giornalistica. Che però incorre certamente in una fake new allorché afferma che il direttore generale Calicchio “in carica dal primo gennaio 2019 è stato prescelto dalla Regione Lombardia”. E’ sufficiente consultare il sito del Pat per apprendere “che il Direttore Generale dott. Giuseppe Calicchio, in carica dal giorno 1.01.2019, è stato designato dal Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, d’intesa con il sindaco di Milano Giuseppe Sala (decreto n. 214 del 24.12.2018) e nominato dal Consiglio di Indirizzo in data 27 dicembre 2018“. E il Consiglio di indirizzo, a sua volta, “è composto da 5 membri, 3 di nomina comunale e 2 di nomina regionale”. Qualunque cosa sia avvenuta al Trivulzio, era e resta sotto la responsabilità condivisa di Regione Lombardia e Comune di Milano.



Sul caso Pat giusto ieri il ministro della Salute (Leu) ha disposto l’invio di ispettori ministeriali. Da quando l’epidemia Covid-19 è scoppiata – sei settimane fa – il ministro Roberto Speranza non si è mai visto nel cratere lombardo: né a Codogno, né a Bergamo, Nembro e Alzano; non a Brescia. meno che mai nell’area metropolitana di Milano.  Speranza non è mai venuto in una regione dove sono morti oltre 9mila italiani e dove 9 milioni di italiani sono oggi obbligati a usare le mascherine, ma le mascherine non si trovano neppure in vendita.

Speranza non ha ritenuto di venire neppure ieri, quando i primi pazienti sono stati ricoverati nel nuovo Ospedale della Fiera di Milano e in quello realizzato dagli Alpini a Bergamo. Certamente il primo progetto è stato formalmente osteggiato dal Governo e realizzato solo grazie a donazioni private e all’impegno dell’ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Quest’ultimo – a differenza del ministro e di tutti i suoi colleghi, a cominciare dal premier – non ha avuto timore di venire nella zona rossa di Milano. E’ stato presto contagiato ed è ancora ricoverato.