Il recente rapporto Istat sulla povertà assoluta e la spesa per consumi in Italia nel 2023, con valori ancora non definitivi perché all’istituto nazionale di statistica stanno riposizionando i criteri di misurazione adottati fino all’anno scorso, evidenzia una spesa media che cresce meno dell’inflazione. Di povertà in famiglia su queste pagine abbiamo già trattato (differenza tra povertà relativa e povertà assoluta). Le spese minime per condurre una vita accettabile in una famiglia di due persone per l’Istat sono pari a 1.150 euro mensili, soglia sotto la quale si è assolutamente poveri. La spesa media mensile italiana nel 2023 è stata di 2.728 euro contro i 2.625 del 2022. Tuttavia, questo incremento è del 3,9% è al netto dell’inflazione del 5,9%. Quindi, in realtà, la spesa si è ridotta e le famiglie in povertà sono pari all’8,5% del totale delle famiglie residenti (8,3% nel 2022) con punte al nord del 9% e al sud invece di blanda riduzione dal 12,7% al 12,1%.
Accanto alla povertà generale si aggiunge quella minorile (oltre 1,3 milioni di minori) e una povertà educativa che vede per molti giovani l’abbandono anche della scuola dell’obbligo e per molti l’interruzione delle scuole superiori. Chi è povero proviene da contesti di povertà, con genitori poco istruiti, madri in gran parte fuori dal mercato del lavoro o precario, padri occupati in lavori di bassa specializzazione.
L’Italia, rispetto gli altri Paesi europei, ha visto il potere di acquisto delle famiglie ridursi negli ultimi tre anni: le retribuzioni bloccate e l’inflazione sono i fattori che hanno peggiorato l’economia delle famiglie più deboli ma anche del ceto medio. In questi giorni sia Istat che il ministro Giorgetti hanno denunciato l’alto debito accumulato dallo Stato che sottrarrà risorse sicuramente all’accorpamento delle aliquote Irpef, alla riduzione del cuneo fiscale, alla scuola, all’università e alla formazione professionale, alla riduzione del gap tra retribuzioni maschili e femminili, agli investimenti nella sanità, alla tutela della prima infanzia con nidi e materne adeguate che devono permettere alle famiglie di uscire dal tunnel della povertà.
Sollevo con forza il problema dell’accesso ai dati per crearci un’opinione. Inps ha diramato i dati parziali dal 1 gennaio al 27 marzo 2024 sull’Assegno di inclusione: sono 562.000 quelli liquidati. La platea dei percettori è ridottissima, perché è stato ridefinito in modo fortemente categoriale il sostegno ai poveri, quindi gli adulti senza figli minorenni sono esclusi per definizione, a prescindere dalle loro possibilità effettive di trovare un lavoro. Ma anche coloro che formalmente potrebbero accedere all’assegno di inclusione trovano di fatto ostacoli aggiuntivi: tutti gli adulti non particolarmente fragili, non ancora sessantenni, che non vivono in famiglie con minorenni o con persone disabili. Ma poi ci sono anche gli esclusi che hanno apparentemente i requisiti, cioè un Isee di 9.360 euro. Ma questo non è sufficiente, perché bisogna rispettare altre tre condizioni: un reddito inferiore ai 6.000 euro annui, non possedere una casa dal valore superiore a un tot, non avere risparmi superiori a un tot. Queste norme – insieme ad altre – sono state introdotte per risparmiare un po’, riducendo ulteriormente la platea dei beneficiari, e i minorenni privati di sostegno e le loro famiglie, insieme alle persone con disabilità che aspirano all’autonomia pratica e a non dipendere dai genitori sono i danni collaterali più evidenti di una situazione che non contrasta la povertà.
Non abbiamo ancora neanche i dati dell’accesso al Supporto formazione e lavoro. Questa indennità è prevista per i soggetti considerati occupabili, che non possono accedere alla misura precedente. In questo caso si tratta di un’indennità corrisposta al singolo componente del nucleo familiare, con aiuto economico di 350 euro mensili. Si può ricevere questo aiuto se non si superano 6.000 euro di Isee complessivo della famiglia e si ha un’età tra 18 e 59 anni.Si parla di una misura in questo caso dedicata all’attivazione al lavoro, ovvero finalizzata al reinserimento lavorativo di chi si trova in disoccupazione, per cui i beneficiari sono tenuti a partecipare a specifici percorsi formativi e progetti per la riqualificazione professionale. Quante sono oggi le persone e quanti sono stati presi in carico?
Essere informati non solo è un diritto, ma è la prima opportunità per contribuire a far ripartire l’economia che comunque è l’unica possibilità che abbiamo oggi per migliorare la nostra situazione.
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