È un capolavoro di approssimativa scienza democristiana la decisione adottata durante l’assemblea politica del Partito popolare europeo ieri a Bruxelles. Ci si attendeva il giudizio definitivo sulle sorti del partito dell’ungherese Viktor Orbán, Fidesz, sospeso nel marzo scorso per il ruolo dubbio, secondo molti osservatori internazionali, esercitato nell’ambito dello Stato di diritto. Leggi considerate discriminatorie della libertà di espressione e pericolose per la stessa indipendenza della magistratura da molti osservatori internazionali. Senza contare la storica chiusura sul tema dei rifugiati e l’ostentata difesa dell’identità cristiana. Ma, appunto, quello che per alcuni sono gravi attacchi ai valori dei popolari europei, per altri, nella stessa famiglia politica, sono il cuore del Dna dei popolari stessi, compresa l’aspra battaglia nei confronti del magnate globalista statunitense ma di origini ungheresi Soros.



Un Ppe insomma strattonato a destra e sinistra, minacciato dalla visione liberal dei partiti del nord Europa e dalle tentazioni populiste già dai tempi dell’ingresso di Silvio Berlusconi. Tusk, il nuovo presidente dei popolari ha prorogato a sorpresa ed a tempo indefinito la sospensione di Fidesz senza passare attraverso le forche caudine di un voto che avrebbe lacerato l’assemblea centrista. Ha sostenuto che il provvedimento fosse stato adottato nella presidenza del Ppe. Come dire: ho deciso io. Non ha fatto cenno al giudizio del gruppo di saggi nominati per indagare sul caso: l’austriaco Schussel, già al governo del suo paese col populista Heider, il belga Van Rompuy, sempre alleato di socialisti e liberali, ed il tedesco Poettering, il più centrato dei centristi tedeschi. Ha detto invece che incontrerà Orbán a fine febbraio e che convocherà senza comunicare la data un congresso speciale sul tema dell’identità politica del Ppe.



Orbán non ha commentato. Gli ungheresi, sospesi, non si sono visti, ma ieri Viktor Orbán è stato ospite di onore del raduno sovranista dei conservatori europei sotto l’egida di Giorgia Meloni a Roma.

Brutto segno per i popolari, a cui potrebbe non bastare prendere tempo per evitare di perdere i soldi europei legati al congruo numero di deputati ungheresi che fanno del Ppe il primo gruppo del parlamento europeo. Forse le alchimie dorotee potrebbero appunto non essere sufficienti per far riprendere fiato alla grande famiglia cristiano-democratica europea, e Donald Tusk si ritroverebbe, dopo aver disperso l’unità della Solidarnosc polacca, a disperdere anche quella dei popolari europei. Cosa che abbinata a Brexit, avvenuta sotto il suo mandato a capo del Consiglio europeo, lo candiderebbe senza dubbio al ruolo di Padre distruttore dell’Europa.