La profonda modifica della forma di governo, indotta dall’adesione dell’Italia alla Ue, e già ampiamente documentata su queste pagine, ha ormai attinto, con valore persino simbolico, la forma del governo: ancora una volta, infatti (si pensi alla commissione Colao e, poi, alla già ventilata proposta di far gestire ad un comitato ad hoc anche la fase progettuale del ricorso al Recovery fund) il vertice dell’Esecutivo intende accrescere l’apparato di governo istituendo organi straordinari per la formazione di decisioni fondamentali relative all’indirizzo politico.
A tali organi sembrano essere attribuite, per un verso, funzioni di alta amministrazione e, per altro verso, di coordinamento in posizione di vertice dei dicasteri e delle pubbliche amministrazioni.
La questione è grave, perché tali rilevantissime innovazioni organizzative sono adottate per atto di Governo, anziché per legge, come invece prevede e pretende l’art. 97, co. 2, Cost. (che escluderebbe l’uso di fonti primarie di provenienza governativa, trattandosi di presidio essenziale di controllo parlamentare) e, per di più e peggio ancora, con effetti di alterazione della composizione del Governo, che, ai sensi dell’art. 92, co. 1, Cost., si compone del Presidente del Consiglio dei Ministri e dai Ministri, senza alcuna possibilità di includere nel massimo organo dell’Esecutivo elementi ad esso estranei.
Ed è appena il caso di segnalare che la gravità non sarebbe affatto neppure qualora a quegli organi si conferissero compiti istruttori o consultivi o progettuali, che avrebbero comunque incidenza decisiva sui procedimenti deliberativi, predisponendone ed indirizzandone i contenuti ed estendendosi sulla attuazione dei conseguenti deliberati.
Il Presidente del Consiglio ha espressamente affermato che l’opzione in parola trova ragione determinante in ciò, che “l’Unione europea ritiene che la nostra pubblica amministrazione non sia adeguata a gestire un’operazione di questo tipo” (cfr. Corriere della sera dell’8 dicembre u.s., p. 3): ciò, da un lato, conferma confessoriamente quanto sopra rilevato in tema di “ristrutturazione” dell’apparato di governo e, dall’altro, rende esplicita la provenienza dell’impulso “riformatore” da centri decisionali esterni al nostro ordinamento statuale che ad essi si è vincolato con la sventurata scelta compiuta con la riforma costituzionale del 2012. In sostanza, il nostro Presidente del Consiglio non fa che eseguire le decisioni e le direttive formulate nella sede (solo genericamente individuata) dell’Unione Europea.