Il caos rifiuti di Roma avrebbe trovato uno sbocco. I romani possono tirare un sospiro di sollievo prima della partenza estiva. A partire, prima di loro, saranno i rifiuti i cui cumuli, da settimane, facevano parte integrante del “decoro urbano” della capitale, immortalati nelle pagine del New York Times così come sullo sfondo degli scatti dei turisti e chiamati in causa dall’allarme sanitario lanciato dall’Ordine dei medici.



Il vertice dell’altro ieri tra il ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, il Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, e la sindaca Virginia Raggi ha approvato il piano di spedire all’estero le centomila tonnellate di spazzatura in surplus che Roma non riesce a smaltire. Nei prossimi tre anni il pattume dei romani viaggerà in nave verso i termovalorizzatori svedesi di Stoccolma e di Göteborg ed è in trattativa avanzata l’ipotesi aggiuntiva della destinazione bulgara.



Dunque, l’emergenza è risolta, ma non per questo si è trovata una soluzione credibile e sostenibile alla gestione dei rifiuti. Roma è colpita da crisi cicliche. Ma va detto che il caos attuale non è solo colpa della scriteriata sindaca grillina che in tre anni ha cambiato 7 amministratori della municipalizzata Ama senza risolvere nulla, anzi. E’ anche il risultato di più di un decennio di inerzia da parte delle amministrazioni locali di qualsiasi colore, che pur di non scontentare l’elettorato non hanno mai avuto il coraggio di varare un piano organico di strutture industriali di smaltimento comprensivo delle varie tipologie dagli impianti di riciclo ai Tmb, a quelli di compostaggio, dalle discariche ai termovalorizzatori.



La direttiva comunitaria sui rifiuti li comprende tutti. Mentre politici e amministratori continuavano ad alimentare il mito del riciclo al 100%, spacciando fantasmagorici “percorsi verso rifiuti zero” completamente scollegati dalla realtà oggettiva dei dati.

Per inciso va sottolineato che i romani, ma in generale gli italiani, hanno una visione del ciclo dei rifiuti che si ferma al cassonetto e preferiscono disinteressarsi a tutto quello che c’è (o manca) a valle. Per esempio, che da gennaio dello scorso anno, la Cina respinge i container di plastica da riciclare che giungevano dall’Europa (Italia compresa), perché la qualità della materia era così scadente che la lavorazione diventava troppo costosa. Lo stesso dicasi per carta e cartone, che hanno dovuto trovare sbocchi alternativi in economie asiatiche più compiacenti tipo Vietnam e Laos. Ma per quanto ancora?

Per lustri Roma ha fatto conto sulla discarica più grande d’Europa. Dal 2013 sotto il sindaco Marino, quando finalmente vennero chiusi i 240 ettari di Malagrotta anche dopo numerose pressioni di Bruxelles, la risposta alla domanda “che fare dei rifiuti?” non risulta ancora pervenuta. La miopia dei cittadini combinata con l’impostura dei politici ci ha portato al punto di dover spostare, a caro prezzo, le nostre criticità all’estero (il km.0 non era un pilastro del contrasto all’inquinamento?).

Dopo quella energetica, abbiamo creato la dipendenza rifiuti dagli impianti del resto dell’Europa, prontissimi a incassare soldi e farsi finanziare docce calde e luce dai contribuenti romani che pagano una Tari più alta della media nazionale (332 euro contro i 302 o i 236 euro pagati mediamente dai lombardi, 2018 dati Cittadinanzattiva). Fatti due conti, a 200 euro la tonnellata, questa soluzione pesa per 20 milioni sui prossimi tre bilanci capitolini.

L’ irresponsabilità del non fare giudica preferibile sperperare denaro pubblico per allontanare il problema piuttosto che investirli nella realizzazione di impianti sul territorio dove servono. E’ anche vero che, appena ventilato, qualsiasi progetto di impianto si scontra con il ben noto fenomeno del Nimby, particolarmente attivo sul fronte dei rifiuti.

Ma è bene sapere che, in generale, mentre all’estero la spazzatura italiana bruciata in termovalorizzatori produce energia (pagata dagli italiani), la stessa, in loco, bruciata nei roghi produce diossina (respirata dagli italiani). Nello specifico, a Roma, si stima che le 3mila tonnellate di spazzatura incenerite nel rogo doloso dell’impianto di trattamento meccano-biologico della Salaria abbiano prodotto l’equivalente delle emissioni di diossina di 100 inceneritori in un anno.