Tensione nella maggioranza sì, ma crisi di governo no. Si raffreddano, poco alla volta, le tensioni degli ultimi giorni nel centrodestra siciliano che avevano fatto temere una vera e propria crisi di governo.
Una composizione, quella della coalizione di centrodestra che sostiene la giunta Schifani in Sicilia, leggermente diversa dall’alleanza di governo nazionale. A Fratelli d’Italia, Forza Italia, Lega e centristi di Noi con l’Italia, nell’isola si aggiungono il Movimento per l’Autonomia, fondato dall’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, e la nuova Dc, il cui segretario è l’altro ex presidente della Regione Totò Cuffaro.
Il primo dei due partiti, il MpA, ha di recente stretto un accordo con la Lega, con la quale ha dato vita a un intergruppo all’Ars, il Parlamento siciliano. Il secondo, la Dc Nuova, invece, lamenta un crescente isolamento da parte degli alleati, primo fra tutti Fratelli d’Italia, tanto da aver indotto il presidente della Regione, Renato Schifani, la scorsa settimana, a ribadire che da garante della coalizione nell’isola non può accettare che alcuno degli alleati venga messo all’angolo.
In questo clima il 31 gennaio è esplosa la “bomba” politica. FdI, il partito di maggioranza relativa, non ha preso bene alcune mosse di Schifani, ma soprattutto non ha gradito i franchi tiratori che hanno impallinato la legge “salva ineleggibili” in aula proprio la mattina del 31 gennaio.
Andiamo per ordine nell’analizzare i due punti di crisi della maggioranza., cominciando proprio dal “salva ineleggibili”.
Nelle scorse settimane su proposta del capogruppo di FdI all’Ars Giorgio Assenza è stata incardinata una norma che, attraverso un’interpretazione autentica di una normativa preesistente, punta a cancellare alcune incompatibilità. Di fatto, se approvata, la norma sanerebbe la posizione di 4 deputati regionali eletti poco più di un anno fa e per i quali c’è il rischio della dichiarazione di ineleggibilità e dunque la decadenza. Si tratta di Giuseppe Catania, Dario Daidone e Nicola Catania, tutti e tre di Fratelli d’Italia, e di Davide Vasta di Sud Chiama Nord, la formazione d’opposizione che fa capo al sindaco di Taormina ed ex sindaco di Messina Cateno De Luca.
Dopo essere stata approvata in commissione a maggioranza, la norma è arrivata in aula e lì è stata impallinata con almeno 9 se non 10 franchi tiratori. FdI attacca sostenendo che la bocciatura è figlia di manovre occulte nella maggioranza guidate da un braccio della Lega e dalla Nuova Dc.
A guardare bene, l’interesse di FdI è politico. Se dichiarati ineleggibili, i tre deputati verrebbero sostituiti dai primi dei non eletti, che nel frattempo sono passati alla Lega. Questo rischierebbe di cambiare gli equilibri in aula all’interno della maggioranza.
L’accusa, sottotraccia, dei meloniani agli alleati è quella di manovrare contro di loro: la Lega per acquisire due deputati, la Dc come ritorsione per non avere ottenuto il posto di manager dell’Asp di Agrigento richiesto.
L’altro tema sono proprio i manager della sanità. La Dc voleva Agrigento, ma FdI ha preteso quel posto e ha preso, insieme a quello, Trapani e Caltanissetta. Per questo la Dc sarebbe accerchiata nei territori dove raccoglie voti.
Mercoledì 31 gennaio a mezzanotte scadeva il termine per la nomina dei manager. Dopo lo scontro in aula e i franchi tiratori al mattino, indispettiti, i meloniani hanno scelto di disertare la giunta convocata per le 19, che doveva formalizzare le nomine. Ed ecco il secondo motivo di tensione. Schifani, dopo aver aspettato un’ora e aver telefonato due volte, ha deciso di andare avanti ed ha formalizzato le nomine dei manager in assenza dei 4 assessori di FdI.
Questo è il motivo ufficiale per la comunicazione di fuoco dei meloniani che facevano sapere, a mezzo stampa, che si stava valutando di ritirare la delegazione in giunta. Sarebbe stata crisi di governo.
Ma da Palermo e Catania i segretari regionali, Giampiero Cannella e Salvo Pogliese, hanno rigorosamente evitato di intervenire sul caso specifico.
Così, dopo un primo confronto informale, da Roma è arrivato lo stop. FdI non intende procedere con il ritiro degli assessori della giunta nonostante sia necessario un chiarimento in maggioranza. L’intenzione è quella di gettare acqua sul fuoco. Una crisi di governo in questo istante sarebbe catastrofica anche in vista delle elezioni europee. Dal partito non è arrivato neanche un comunicato per ribadire l’amarezza per il fuoco amico subito all’Ars. Anche se le chat dei meloniani sono invase da messaggi rancorosi contro Lega e Dc.
A Schifani, invece, viene contestato di aver proceduto alla nomina dei manager in assenza degli assessori di FdI, ma si riconosce al presidente di aver tentato di ricucire le fila poco prima all’Ars per evitare la bocciatura del salva eleggibili. Inoltre c’era urgenza di fare quelle nomine perché a mezzanotte sarebbe scaduto il termine. Tutti elementi che pongono le condizioni per attenuare lo scontro.
Adesso il fine settimana sarà usato per placare gli animi e dalla prossima settimana occorrerà pensare ad un vertice di maggioranza per ricucire. Il come è ancora tutto da capire, visto che le tensioni in questa coalizione ci sono sempre state fin dall’insediamento e ciascun partito ha qualcosa da rimproverare agli altri.
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