Gli attacchi dei turchi ai curdi che continuano, i raid di Israele che giungono fino a Damasco, 6.300 uccisioni nei primi tre mesi dopo la caduta di Assad. La realtà della Siria è sempre quella di un Paese in grave difficoltà, nel quale, tra l’altro, Israele ipotizza anche di deportare i palestinesi, come se non bastassero i milioni di profughi ora all’estero che potrebbero rientrare. I problemi non mancano neanche al confine con il Libano.
L’Occidente, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, non può però sperare che in Siria si sviluppi una democrazia: al Sharaa, se riuscirà, sarà il nuovo uomo forte, come succede in tutti gli altri Paesi del Medio Oriente. Certi diritti, d’altra parte, non vengono rispettati neanche in Egitto, Arabia Saudita o Emirati Arabi Uniti, e i Paesi europei (e non solo) fanno affari con loro senza porre condizioni.
Putin ha telefonato ad al Sharaa offrendo collaborazione per il rilancio della Siria. Vuole riallacciare i rapporti interrotti dopo la caduta di Assad?
Al Sharaa ha detto chiaramente che uno degli obiettivi è non avere più truppe straniere sul territorio. Ora ha bisogno di soldi, investimenti, ma i russi non hanno soldi per la ricostruzione della Siria. È vero che nel nord del Paese ci sono i turchi e gli americani con i curdi. Però certamente la Siria non vuole più una presenza fissa come quella della Russia in precedenza. L’unico obiettivo di Mosca è mantenere una presenza in Medio Oriente e soprattutto preservare le due basi militari che ha nel Paese, le uniche del Mediterraneo.
Non è un tentativo di tornare ad essere partner dei siriani?
Sì, lo è, ma al Sharaa non vuole una protezione militare, deve pensare a ricostruire. Certo, ha interesse ad avere buoni rapporti con tutti, compresa la Russia, con gli Stati Uniti, con l’Occidente, per dimostrare che è un leader che può salvare il Paese, però si limita a questo. Adesso non ha tempo di affrontare la questione delle basi russe, ma prima o poi probabilmente chiederà a Mosca di lasciarle.
Nel frattempo l’Unione Europea ha stanziato 25 miliardi per la Siria. Un’apertura di credito necessaria o affrettata, visti i massacri che hanno segnato il Paese in queste settimane?
Naturalmente i massacri sono riprovevoli, ma non stiamo parlando del Liechtenstein, bensì della Siria, governata da banditi della famiglia Assad dagli anni 70 in poi. Dobbiamo prendere con le molle quello che sta succedendo. Nella zona di Latakia, per di più, c’è stata la provocazione da parte degli alawiti, quindi del vecchio regime, e la reazione è stata del tipo di quelle che succedono tra nemici in Siria in queste occasioni. Sicuramente al Sharaa sarà l’uomo forte (se riuscirà a governare), perché in Medio Oriente non c’è alternativa: se qualcuno in Occidente pensa che con lui nasca una Siria democratica e parlamentare, si sbaglia.
Dobbiamo rassegnarci a un nuovo regime?
Trattiamo, facciamo affari, vendiamo armi e compriamo petrolio da regimi come l’Arabia Saudita e gli Emirati, che trattano i loro pochi dissidenti come degli animali, quindi dobbiamo dare credito ad al Sharaa, abbiamo il dovere di aiutarlo anche a costo di essere smentiti dalla realtà. Se agisse nelle Asturie diremmo che vuole fare il dittatore, in questo caso occorre tenere conto della realtà in cui si trova.
L’Osservatorio siriano per i diritti umani dice che nei primi cento giorni del nuovo corso sono state uccise 6.300 persone. Il nuovo corso non mostra pecche che ricordano il vecchio regime?
Dobbiamo ricordarci che è stata abbattuta una dittatura per creare qualcosa di diverso. Per la mia esperienza mediorientale sarebbe potuto implodere tutto il Paese. La brutale repressione degli Assad, con l’aiuto iraniano e russo, avrebbe causato 400mila morti. E non parliamo dei milioni di sfollati. Questo non è cinismo, è realismo: quello che è successo in Siria in questi tre mesi è ancora poco rispetto a quello che poteva accadere.
Nonostante l’accordo ufficiale del governo siriano con i rappresentanti delle minoranze curde nel nord-est, i turchi lanciano ancora i loro droni, mentre anche Israele bombarda nel sud, arrivando anche fino a Damasco. I confini della nuova Siria non sono ancora ben definiti?
Al Sharaa è un prodotto della Turchia, ma Ankara ha una sua agenda riguardo ai curdi. Israele, invece, ha tutto l’interesse a vedere il caos, l’anarchia in Siria, per gestire la sua agenda. A Tel Aviv interessa un Paese destabilizzato, perché è sempre stato un avversario pericoloso. Gli israeliani pretendono che la loro sicurezza debba prevalere su qualsiasi altro interesse, si sono sempre preoccupati di essere sicuri oggi, senza mai investire sulla sicurezza domani: per questo passano da un conflitto all’altro senza fine. Quello che stanno facendo gli israeliani in Siria è inaccettabile, ma finché le leggi internazionali le violano anche Donald Trump e Vladimir Putin, Israele è a cavallo.
Ci sono stati anche scontri alla frontiera con il Libano, che vorrebbe rimandare a casa 1,5 milioni di profughi siriani, una sorta di mina vagante in tutto il Medio Oriente. Cosa succederà a chi è fuggito dalla Siria di Assad?
Al Sharaa è la grande occasione per risolvere il problema dei profughi siriani, dal Libano alla Turchia. In Libano, gli israeliani hanno ridotto la pericolosità militare di Hezbollah, che però è ancora potente. Il Paese ha molti problemi da risolvere, ha tutte le ragioni per pretendere che i siriani se ne tornino in patria, però se fossi al posto di un profugo aspetterei ancora un po’ a rientrare.
Si torna a parlare di deportazione dei palestinesi da Gaza e, tra le ipotesi per ospitarli, oltre a Somalia ed Etiopia, si è fatto anche il nome della Siria. Israele potrebbe davvero servirsi di Damasco per liberarsi di una presenza scomoda?
Israele ormai ha un’arroganza senza limiti e si giustifica guardando a quello che fanno Putin, Trump e tutte le autocrazie. Il Paese stesso si sta sempre più avvicinando a diventare un’autocrazia militarizzata. Certo, Hamas è un’organizzazione terroristica, ma Israele, viste le ambizioni di questo governo, è un pericolo regionale: il nuovo Medio Oriente è peggio del vecchio.
Tornando alla Siria, che scenario abbiamo davanti? Cosa deve fare adesso al Sharaa e cosa l’Occidente? Deve sostenerlo oppure, alla luce della paura di una deriva fondamentalista, deve tenerlo a distanza?
La paura è logico che ci sia. Se però in Iran il regime brutale degli ayatollah è sopravvissuto alla guerra con l’Iraq è anche per i nostri comportamenti, perché abbiamo ignorato gli elementi moderati di quel Paese. Non dobbiamo commettere gli stessi errori agevolando la conquista del potere da parte degli estremisti religiosi. Al Sharaa ha bisogno di tempo. Il compito dell’Europa è di aiutarlo dal punto di vista economico e a garantire una qualità della vita migliore di quella precedente.
Ma dobbiamo porgli delle condizioni, chiedere che rispetti certi principi?
Non mi pare che noi italiani, come tutti gli europei, ai regimi della storia recente della Libia, ad al-Sisi in Egitto, a Mohammed bin Salman in Arabia Saudita, agli emiri degli Emirati Arabi Uniti, abbiamo mai chiesto conto dei loro comportamenti democratici e liberali. Quindi non capisco perché proprio con al Sharaa dovremmo improvvisamente pretendere che sia Thomas Jefferson.
(Paolo Rossetti)
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