Secondo quanto detto dall’ormai prossimo Alto rappresentante dell’Unione Europea, lo spagnolo Josep Burrell, l’atteggiamento nei confronti della Turchia spetta ai singoli paesi: “Gli accordi all’unanimità sono difficili da conseguire, quanto sta accadendo non è materia dell’Unione, gli accordi sono di ciascun paese”. Per Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica tra i più autorevoli a livello italiano e internazionale, “è l’evidente ammissione che l’Unione Europea non riesce ad avere una posizione comune in materia di politica estera e di difesa, per cui lascia libertà di iniziativa a ogni Stato membro dell’Unione stessa”. È quello che stanno già facendo Francia, Germania, Olanda e altri, mentre l’Italia continua a insistere sul fatto che la decisione di sospendere la vendita di armi ad Ankara venga assunta unitariamente: “Il nostro governo non è in grado  di avanzare posizioni propositive. Se davvero vogliamo sospendere la vendita di armi, potremmo farlo in qualunque momento, come hanno fatto gli altri, senza scaricare la decisione sull’Unione”. Intanto l’esercito turco si sta dirigendo verso Kobane, la roccaforte dei curdi, mentre anche le forze di Assad si muovono verso il fronte.



Da quanto ha detto il ministro degli Esteri spagnolo sembra di capire che l’Unione Europea non prenderà posizione contro la Turchia. 

È così. L’Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri designato ha preso atto delle divergenze e dell’impossibilità di trovare una convergenza. In sostanza, a suo parere, è inutile spaccare l’Unione, che non riuscirà mai ad avere una voce comune. Dunque, ciascuno faccia come vuole.



Non è una bella cosa che l’Unione Europea non riesca ad assumere una decisione unitaria. Perché questa difficoltà?

Non è per niente una bella cosa. Così si ammette a chiare lettere che l’Europa è indebolita in materia di politica estera e di difesa e non è nelle condizioni di porsi come un soggetto unitario.

Quali paesi, in particolare, rendono impossibile una presa di posizione unitaria?

Sicuramente la Polonia, in cui nelle elezioni di domenica hanno vinto nettamente i nazionalisti, contrari a qualsiasi politica estera e di difesa europea. L’unica cosa che interessa loro è essere alleati con gli Usa e con la Nato.



La posizione italiana finora le sembra corretta?

La posizione dell’Italia dimostra ancora una volta come i nostri governi non abbiano capacità propositiva. Si chiede che l’Unione Europea autorizzi il blocco della vendita di armi alla Turchia, ma diversi paesi come la Germania, la Francia e l’Olanda lo hanno già fatto. Se l’Italia volesse davvero seguire questa strada, lo può fare tranquillamente, anche sospendendo temporaneamente la vendita di armi. Tra l’altro, questo argomento, che sembra diventato la soluzione di ogni problema, non tiene conto del fatto che i turchi sono tra i massimi esportatori di armi, per cui non verranno di certo fermati dal blocco delle vendite. Negli ultimi dieci anni Ankara ha aumentato di tre volte il proprio export di armi.

Verso quali paesi?

Soprattutto i paesi arabi: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Algeria e anche Libia.

Bisogna tener conto anche della questione Nato: di fatto la Turchia è un nostro alleato. È forse questo che lega le mani di tanti paesi, compresa l’Italia?

La Nato si è chiamata fuori. Il segretario generale, incontrando Erdogan, si è mostrato cauto, se non ambiguo. Era informato di tutto: del ritiro americano, dell’operazione turca, degli accordi dei curdi con Assad. In sostanza ha detto a Erdogan: fate quello che volete, basta che lo facciate in fretta e senza clamori mediatici.

Tra le tante ambiguità di questa situazione, spicca quanto detto da Erdogan, che dice di avere avuto il via libera del Cremlino per attaccare Kobane. Come è possibile, visto che la Russia è alleata dei siriani e dei curdi?

Sembra strano che il Cremlino faccia di questi improvvisi voltafaccia, che sono tipici invece di Trump. Il Cremlino tiene sempre una linea precisa, da sempre hanno ottimi rapporti con i curdi, i quali, va precisato, non hanno mai chiesto l’indipendenza dalla Siria, ma l’autonomia amministrativa. Il loro territorio, infatti, si chiama Governatorato della Siria del Nord-Est, e non Kurdistan.

Al momento in questo territorio si trovano centinaia di uomini delle forze speciali francesi. Che cosa potrà succedere?

È semplice: seguiranno l’esempio degli americani e se ne andranno.

Dal punto di vista militare, invece, per Erdogan come si presenta la situazione sul campo?

La Turchia ha di fatto mobilitato poche forze, due brigate, una di forze speciali e una corazzata. Il resto sono truppe del cosiddetto Syrian National Army, il cui nome completo non a caso è Turkish-backed Free Syrian Arm, un’accozzaglia che tiene dentro di tutto, anche membri di al Qaeda, che nella zona di Idlib continuano a resistere alle forze di Assad.

Li utilizza per fare il lavoro sporco, così da non mandare i suoi uomini in prima linea?

Sì, per non subire perdite umane. I bombardamenti aerei e il fuoco di artiglieria ovviamente sono effettuati dall’esercito turco, ma i soldati turchi impiegati nell’invasione sono circa 15mila, a fronte di oltre 40mila ausiliari siriani.

I turchi stanno puntando su Kobane, città simbolo dei curdi, mentre le forze di Assad sono arrivate al confine turco. Ci dobbiamo aspettare una cruenta escalation?

Dipende da che tipo di accordo hanno siglato i curdi con la Russia. Se hanno dato l’ok all’occupazione turca delle zone di confine, i curdi ne prenderanno atto e con pragmatismo, visto che non potranno mai sconfiggere le forze turche, si ritireranno verso sud.