I turchi potrebbero attaccare i curdi nel nord e prendersi così una parte del territorio della Siria, così come gli israeliani hanno fatto a sud con il Golan. Quella dei curdi, d’altra parte, è ancora una questione aperta per il Paese dopo la caduta di Bashar al Assad e non è l’unica da affrontare: la presenza di sciiti, sunniti, alawiti, drusi e cristiani prefigura una potenziale frammentazione del territorio. Hayat Tahrir al Sham, spiega Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, il gruppo al potere, è solo una sigla e bisogna vedere se le altre milizie accetteranno di confluire in un nuovo esercito nazionale. Più facile che ognuna di queste tenda a mantenere il controllo di una città e del suo circondario, curando i propri interessi nella zona. Insomma, c’è anche il fondato pericolo di una parcellizzazione della Siria, di una frammentazione che di fatto faccia sparire lo Stato nella sua unità.



Quanto pesa la questione curda in Siria: rimane un conflitto aperto che può minare l’unità del nuovo Stato?

Non credo che quella curda sia l’unica questione rimasta aperta in Siria. I curdi sono una delle tante componenti del Paese, fino a poco tempo fa tenute insieme dal regime. Ci sono anche i drusi, gli alawiti, i sunniti, gli sciiti, i cristiani. Che fine faranno gli alawiti che fino ad oggi erano una setta minoritaria ma predominante dal punto di vista politico, visto che Assad era uno di loro? In Libia non c’è un mosaico simile e siamo riusciti ad avere più di dieci anni di guerra civile.



Si parla di un ammassamento di soldati turchi al confine e di un imminente attacco nella zona di Kobane. Ankara muoverà davvero le sue truppe?

Per la Turchia la presenza dei curdi è sempre stata un problema ed è il motivo principale per cui è entrata nel conflitto, per evitare che i curdi riescano a costruire un’enclave indipendente che si fonda con altre e formi il nucleo di uno Stato curdo, ravvivando il sentimento nazionalista dei curdi anche all’interno della Turchia. Se Israele ha occupato parti del sud della Siria nel Golan, non vedo il motivo per cui la Turchia non possa considerare di prendersi questi territori.



Quindi l’operazione anti-Kurdistan di Ankara è più che un’ipotesi?

Nulla si può frapporre tra questo desiderio e la sua realizzazione. Con la caduta del regime sostanzialmente la Siria non esiste più, per quanto Hayat Tahrir al Sham si sforzi di dare l’immagine di una nazione in costruzione. È una delle tante milizie, bisognerà vedere se le altre saranno disposte a sciogliersi e ad entrare in un esercito nazionale. Per ora è solo un pio desiderio. L’attacco dei turchi è probabile.

I curdi hanno avuto un ruolo importante nella guerra civile siriana e ora sono sostenuti dagli americani. È vero che Trump ha annunciato di voler disimpegnare gli Stati Uniti in questa area, ma questa vicenda potrebbe creare tensioni fra Ankara e Washington? I curdi, d’altra parte, hanno già chiesto allo stesso Trump di non abbandonarli.

I curdi sono stati utili anche a rovesciare il governo di Saddam Hussein, venendo ricompensati con una piccola provincia autonoma in Iraq. Ma non è detto che succeda anche in Siria. Trump è stato chiaro, considera la situazione della Siria troppo complicata, non ci vuole entrare. E dove si crea un vuoto subentrano le altre potenze regionali che curano i loro interessi.

Trump, insomma, non si metterà contro la Turchia per difendere i curdi?

Non credo, anche perché la Turchia rimane un alleato nella NATO. Concederle la possibilità di prendere una parte della Siria non è un prezzo troppo elevato, soprattutto tenendo conto che dall’altra parte Israele sta facendo lo stesso con ampie porzioni di territorio del sud.

Se la Turchia si annettesse la parte di Siria occupata dai curdi, quel territorio rimarrebbe comunque una spina nel fianco per i turchi. Una questione insoluta che potrebbe trascinarsi ancora nel tempo?

Assolutamente sì, ma sarà una delle tante spine nel fianco che si creeranno in quell’area del mondo. Non credo che le altre regioni siriane saranno in una situazione molto più tranquilla.

Se il modello della Siria può essere, purtroppo, quello della Libia, significa che il Paese può venire diviso in due, tre o quattro parti?

Credo che non riusciranno a dividersi in tre o quattro parti, ma che ci saranno diverse enclave formate da città con le loro campagne. Non vedo neanche la possibilità che si creino dei mini-Stati indipendenti, ma centri urbani e loro circondari sui quali le milizie metteranno le mani, controllando risorse come pozzi petroliferi, aree di passaggio o altro ancora.

Gli iraniani non ci sono più, i russi neanche, gli americani se ne andranno. Ma turchi e israeliani cosa faranno? Si terranno i territori acquisiti e lasceranno il resto della Siria al suo destino?

Non credo che iraniani e russi siano totalmente fuori dai giochi. Teheran ha comunque la minoranza sciita da difendere per motivi di prestigio. Le dichiarazioni di Hezbollah e dell’ayatollah Khamenei non vanno nella direzione dello scontro totale, vogliono un accordo con le fazioni che avranno il predominio della futura Siria. Se la situazione dovesse degenerare, l’Iran potrebbe supportare la minoranza alawita e sciita. I russi stanno smobilitando in maniera ordinata, evidentemente in base ad accordi pregressi. Non si parla di smantellare del tutto le loro basi: potrebbero raggiungere un’intesa sul loro utilizzo, soprattutto se si considera che sono in territorio a maggioranza sciita o alawita.

Solo un altro dittatore potrebbe tenere unita la Siria?

L’esperienza insegna che purtroppo in quell’area del mondo e in contesti simili quella è la soluzione. Bisogna vedere che dittatura è: da una laica come quella di Assad si potrebbe passare a una dittatura teocratica. Oppure il caos assoluto che si crea, si protrae e si incancrenisce potrebbe fare in modo che si continui con una situazione frammentata come quella prospettata.

(Paolo Rossetti)

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