L’attuale offensiva della Turchia dimostra – fra le altre cose – ancora una volta una delle costanti della storia e cioè la rilevanza che le lotte di potere, in questo caso tra le potenze europee, gli Usa e la Russia svolgono in relazione alla questione della sovranità politica ed etnica.
Al di là dell’ipocrisia che circonda la pubblica opinione – se oggi è infatti presente una mobilitazione internazionale a favore dei curdi, non ci fu certo una mobilitazione analoga quando la Russia pose in essere una politica offensiva insieme alle forze di Assad nella provincia di Idlib – non pochi commentatori e analisti internazionali hanno sottolineato come, da un punto di vista squisitamente strategico, la Russia stia risultando essere la vera vincitrice di questa partita. A tale proposito, occorre sottolineare come l’attuale politica offensiva turca debba anche essere contestualizzata in un accordo bipartisan tra Mosca e Assad, con lo scopo di dare al presidente siriano il pieno controllo della provincia di Idlib con la garanzia che Mosca darà mano libera alla politica offensiva turca di agire contro i curdi.
Una seconda ragione relativa al fatto che la vera vincitrice di questa partita sarebbe la Russia dipende dal fatto che il ritiro delle forze statunitensi che occupano l’est della Siria consentirà il rafforzamento dell’asse russo-iraniano e siriano.
In terzo luogo, il ruolo politico e militare della Russia ha certamente contribuito a dividere ulteriormente gli Stati Uniti dall’Europa, determinando conflitti all’interno della Nato che stanno rafforzando la politica russa in Medio oriente.
In quarto luogo l’incontro che si terrà a breve tra Putin ed Erdogan dovrebbe contribuire non solo a legittimare la creazione di una zona cuscinetto – che allo stato attuale si estende per circa 120 km tra Tel Abyad e Serekaniye – ma potrebbe legittimare un’ulteriore espansione turca per altri 400 km fino quasi a toccare l’Iraq, consentendo ad Ankara – come ho già avuto modo di osservare – di portare a termine la politica espansionistica di ispirazione neo-ottomana.
Per quanto riguarda il patto siglato tra i curdi e il regime siriano, patto che ovviamente avrà una durata limitata e provvisoria nel tempo perché puramente strumentale, si costruisce sull’implicita rinuncia da parte dei curdi alla loro autonomia politica in cambio della protezione militare del regime siriano.
Quanto alla politica offensiva di Erdogan, questa permetterà al leader turco di conseguire alcuni significativi benefici sul piano politico almeno a breve termine, e cioè il consolidamento del progetto neo-ottomano e dell’ideologia nazionalista che lo alimenta, e il rafforzamento della politica di repressione interna da parte del governo turco, legittimata anche dall’attuale stato di emergenza.
Vediamo in dettaglio i risultati di Erdogan. 1. Ad oggi il presidente turco ha ottenuto di imporre agli Stati Uniti il ritiro delle milizie curde dalle aree comprese nella zona di sicurezza turca. Se al contrario questa evacuazione non dovesse avvenire nei modi e nei tempi stabiliti dalla Turchia, l’offensiva militare turca riprenderà. 2. Almeno allo stato attuale, la proiezione di potenza turca in funzione anticurda ha certamente modificato gli equilibri di potere della regione siriana e ciò sta a dimostrare come una guerra limitata con obiettivi precisi e definiti possa rivelarsi un successo politico. 3. Il fatto che gli Stati Uniti non abbiano fatto ulteriori sanzioni ad Ankara e abbiano promesso di togliere quelle che fino a questo momento sono state poste in essere, costituisce un altro successo politico almeno a breve termine del leader turco. 4. Se è difficile negare che l’accordo di tregua stipulato con gli Usa sarà utilizzato dal presidente turco come strumento negoziale e di pressione sul presidente russo, allo stato attuale Erdogan ha dimostrato di essere in grado di ottenere concessioni tra entrambi gli attori coinvolti e cioè da Usa e Russia.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, il fatto che abbiano ceduto la loro sovranità nel nord-est della Siria a Putin e alla Siria li potrebbe indurre a ripiegare verso sud se non addirittura ad abbandonare il territorio. Se questo dovesse accadere -considerando la centralità della regione siriana per la presenza di fondamentali giacimenti petroliferi e la rilevanza geopolitica del corridoio che permette di collegare l’Iran al Mediterraneo – ciò consoliderebbe l’asse russo-siriano e iraniano a danno di quello americano.