Venerdì un elicottero militare delle forze aeree siriane è stato abbattuto nell’area di Idlib, l’ultima provincia della Siria nord-occidentale rimasta fuori dal controllo del governo di Bashar al Assad e dove nel corso della guerra contro l’Isis venivano trasferiti tutti i miliziani sconfitti e le loro famiglie. Adesso le forze armate di Damasco insieme a quelle russe stanno cercando di liberare anche quest’ultimo territorio. Ma oltre a contrastare Assad, la Turchia, che in Siria ha sempre fatto il doppio gioco, sta sostenendo i ribelli jihadisti in modo sempre più esplicito. La notizia dell’abbattimento infatti è stata riferita dall’agenzia stampa turca Anadolu, citando fonti legate ai ribelli antigovernativi che dominano l’area. L’elicottero è stato colpito mentre sorvolava la provincia occidentale di Aleppo, in una zona che rientra nell’area di sicurezza pattuita tra Turchia e Russia per favorire un abbassamento della tensione. In questo quadrante Ankara sostiene i gruppi ribelli di Idlib, tra i quali le milizie legate al cartello jihadista Hayat Tahrir al Sham. Lo scorso 11 febbraio un altro elicottero militare siriano è stato colpito dalle forze armate della Turchia nella provincia di Idlib.
È una situazione fuori controllo: né russi, né americani e tantomeno l’Europa, ci ha detto il generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore dell’areonautica e della difesa, oggi vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali, fanno qualcosa per fermare l’espansionismo di Erdogan che come sappiamo arriva oggi fino alla Libia con l’intenzione, ci ha spiegato, di garantirsi le risorse del Mediterraneo e un posto vantaggioso nel futuro governo libico. E l’Italia?
Due elicotteri dell’esercito siriano abbattuti in pochi giorni dai ribelli sostenuti dalla Turchia in Siria. Si può dire che Erdogan stia ricalibrando la sua politica nell’area, anche in considerazione del suo espansionismo nel Mediterraneo?
Personalmente sono molto preoccupato dell’atteggiamento e delle politiche turche degli ultimi anni, anche perché sono in netta antitesi con la carta della Nato a cui la Turchia aderisce.
Sembra difficile considerare Ankara ancora un membro della Nato, nonostante lo sia dal punto di vista formale.
Se si legge il preambolo della carta dell’Alleanza Atlantica, i paesi firmatari devono per prima cosa rispettare i diritti umani al loro interno, cosa che la Turchia fa molto poco. Se si procede con la lettura si vede che i paesi aderenti si impegnano a non minacciare o utilizzare le proprie forze armate in situazioni internazionali controverse o espansione territoriali.
Tutte cose che la Turchia invece sta facendo, giusto?
Infatti. E non in situazioni occasionali. È un problema politico serissimo, l’alleanza non può più contare su questo, tra virgolette, alleato.
Quindi?
Quello che sta facendo in Siria è una politica chiaramente espansionistica. Abbiamo condannato la Russia quando si è annessa la Crimea, non abbiamo detto nulla quando Erdogan ha annesso un pezzo di Siria durante l’invasione contro i curdi. Non è un atteggiamento coerente.
Come mai può fare tutto quello che vuole?
Manca la volontà politica di porre dei limiti all’espansionismo turco da parte dei singoli paesi. Gli Usa per bocca di un sottosegretario hanno detto proprio in questi giorni che sono allineati con le politiche di Ankara. Dall’altra parte c’è la Russia con cui hanno un rapporto molto ambiguo. Ci sono momenti in cui ci sono convergenze e momenti di divergenze, ma quando si parla di forze armate le convergenze e le divergenze non sono questioni di parole. Anche la Francia, dal canto suo, si muove con autonomia rispetto all’Unione Europea.
E l’Italia cosa fa?
Siamo completamenti assenti, al di là di qualche visita turistica del nostro ministro degli Esteri. Non si vede una politica che possa coagulare attorno a interessi comuni condivisi la diplomazia, l’economia e anche le forze armate.
Si è detto che Russia e Turchia vogliono spartirsi la Libia. Vale anche per la Siria?
Assad è rimasto al potere grazie a Mosca e anche alle milizie iraniane. Non credo sia una spartizione, alla Russia interessano punti di appoggio per garantirsi l’accesso al mare mentre in Libia l’attività russa è opportunistica.
In che senso?
C’è un vuoto politico e Putin molto abilmente si è inserito in questo vuoto dimostrando che la Russia è ancora una grande potenza. I turchi invece hanno mire chiarissime sulle risorse del Mediterraneo e agiscono con disinvoltura per garantirsi in futuro posizioni di vantaggio e la futura gestione del potere libico.
L’Iran invece che è stato determinante per la sconfitta dell’Isis in Siria, sembra sparito dai giochi internazionali. L’uccisione da parte degli americani di Soleimani ha ottenuto l’effetto voluto?
Si tratta di una conseguenza collaterale. Il problema iraniano è di ordine economico e di gestione della situazione del paese che è economicamente drammatica, come dimostrano le manifestazioni popolari violentemente represse. L’Iran oggi ha il problema di guardarsi in casa invece che alimentare una politica espansionistica.
(Paolo Vites)