Il Medio Oriente è tornato una polveriera, e ogni giorno il bollettino peggiora. Il governo di Hariri in Libano, in seguito alle proteste, ha rassegnato le dimissioni. In Siria, dopo il ritiro dei curdi dalla “zona cuscinetto” resta il rischio di una vera e propria guerra tra le truppe turche e quelle di Assad. In Iraq ci sono stati 250 morti da inizio ottobre tra i manifestanti, nell’ultimo caso uomini dal volto coperto hanno sparato sulla folla. La Giordania ha appena richiamato il suo ambasciatore da Israele, che a suo dire detiene due suoi cittadini illegalmente.



Il centro del Medio Oriente sta sfuggendo di mano, e ai confini di questo nucleo “caldo” si trovano gli attori regionali più forti: Turchia, Iran, Arabia Saudita e Israele. Quattro Stati con interessi e alleanze divergenti. Col disimpegno Usa, l’unico attore di rilevanza globale nell’area resta la Russia. Il Sussidiario ha parlato con Franco Frattini, due volte ministro degli Esteri con Berlusconi a Palazzo Chigi, che ci ha delineato lo schema del pantano mediorientale, e i pericoli che ne derivano per tutto l’Occidente.



Qual è la strategia della Turchia in Siria?

Ha approfittato del vuoto di potere lasciato dagli Usa. Erdogan ha sempre voluto affermare un principio: i curdi devono vivere in zone sotto il controllo della Turchia, per Ankara questo è un interesse nazionale prioritario. Erdogan lo sta solo portando avanti concretamente, Trump ha sbagliato a credere che si sarebbe fermato.

Il presidente Usa pensava che bastasse una moral suasion per fermare i turchi?

Sì. Trump gli ha chiesto di “andarci piano”, ma Erdogan, saputo del ritiro Usa dal Nordest della Siria, ha agito come se il campo fosse sgombro. Anche lui ha fatto male i conti: dagli Usa ha preso le sanzioni e il riconoscimento del genocidio armeno, e appena gli americani hanno mollato la presa, la Russia si è incaricata della stabilità dell’area, e per ora Putin più o meno riesce a mantenere il cessate il fuoco tra Turchia e Assad. Conosco i turchi: senza un “amico” potente a chiederglielo, non si sarebbero fermati ai 30 km della “zona cuscinetto”. A Idlib, e non solo, avremmo visto un bagno di sangue.



Anche perché l’esercito turco, il secondo della Nato, ha i mezzi per farlo.

Sì, ma non bisogna sottovalutare il contingente di Assad, che è tutt’ora forte e combatte sul suo territorio, un luogo dove chiunque rischia di impantanarsi, questo Putin l’ha capito bene.

Lo stesso vale per Trump, che infatti se ne è tirato fuori. È questa la sua strategia?

Sì. D’altronde a Trump, all’inizio del suo mandato, è scappato detto: “Gli Usa devono smetterla di fare il poliziotto globale”.

Questo però lo dicono un po’ tutti i presidenti Usa. Poi le cose vanno diversamente.

Lui però ha cominciato a farlo. Ha detto agli alleati Nato: non pagheremo più per la vostra sicurezza. E questo si è tradotto nel disimpegno in Libia, ai danni dell’Italia, e in Siria, ai danni di tutto l’Occidente. Anche in Afghanistan e in Iraq ha diminuito gli sforzi. Poi, certo, restano alcune mosse estemporanee.

Tipo?

Prima ha detto di volersene andare dal Nordest della Siria, per poi spiegare che alcune truppe sarebbero rimaste. Allo stesso tempo, le forze speciali americane erano a caccia di Al Baghdadi, il califfo dell’Isis, che alla fine hanno trovato e ucciso. Ma l’idea dietro resta, anche se non è attuata in modo lineare.

Quella di un’America concentrata su se stessa. È questo il fine?

Vuole portare alle elezioni del prossimo anno un’America più ricca al suo interno e più lontana dai teatri di crisi. Trump disse: “Basta con le bare coperte dalla nostra bandiera, voglio che i nostri ragazzi si impegnino negli Usa per il bene della patria”.

A chi va il Medio Oriente? Alla Russia, alla Cina?

La Russia resta l’attore più importante sul campo, e gioca sempre di sponda con la Cina: 2 su 5 dei membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu hanno un occhio attento sulle vicende mediorientali. In più la Russia fa da pontiere con l’Iran, che presto potrebbe avere la bomba atomica. Il grande Medio Oriente si sta del tutto destabilizzando, lo scontro tra Qatar e blocco sunnita di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita è uno scontro tra sunniti. Non si tratta più solo di scontri tra sunniti e sciiti.

Una vera polveriera, mentre ancora non si capisce come andrà a finire la spartizione della Siria.

La Turchia vuole la sua area d’influenza, questo oltre ai curdi è il motivo del suo attivismo in Siria. Ci saranno tre sfere d’influenza: la Turchia al nord vicino ai propri confini, al centro gli sciiti alawiti di Bashar al-Assad, e al sud i sunniti con influenza e soldi di Arabia Saudita. Sperando che tutto ciò basti a mantenerla unita, perché una sua partizione in due o tre parti sarebbe assolutamente devastante.

Più devastante del rischio che continui una guerra che dopo 8 anni ha lasciato solo macerie?

Sarebbe un rischio ancora più grosso perché creerebbe un effetto domino: perché dovrebbe rimanere unita la Libia se tra Cirenaica, Tripolitania e Fezzan ci sono differenze forse anche più grandi di quelle tra un curdo e un sunnita del sud della Siria?

La forma Stato in Africa non è mai attecchita del tutto. Ma è a rischio anche in Medio Oriente?

Questo è il vizio d’origine dell’accordo franco-britannico che, disegnando con la penna i confini degli Stati, pose le condizioni per aggregazioni e disaggregazioni che quei popoli non riconoscono. Se cade uno di questi Stati e si afferma il principio che la Siria si può dividere, altri la seguirebbero. L’opposto dell’interesse occidentale, che è nella stabilità dell’area.

In Libano, il primo ministro Hariri si è dimesso. Si andrà a elezioni o si rischia la guerra civile?

Hariri, e prima di lui suo padre, si è illuso per anni che la sua coalizione potesse fare accordi con Hezbollah, e ora ne paga il prezzo. Hezbollah è un partito sciita filo-iraniano del tutto assolutista, che vuole vincere e non concepisce accordi. Io non so se dietro le enormi proteste di piazza ci sia o no Nasrallah (il leader di Hezbollah, ndr), so che trovare un nuovo primo ministro sarà difficile per il presidente Aoun. Hariri ci mise un anno per creare il governo.

Anche Israele, paese diverso ma confinante, ha difficoltà nel creare un governo.

Israele uscirà da questa fase, è un paese più dinamico. E ha delle risorse che il Libano purtroppo non ha.

(Lucio Valentini)