Spiragli di speranza, ma anche dubbi e domande sul futuro della Siria, paese martoriato che ancora non vede una luce in fondo al tunnel, come ci ha raccontato in questa intervista padre Firas Lutfi, una vita in continuo movimento per servire il suo popolo. Da poche settimane è infatti tornato nel suo paese natale, la Siria, dove è parroco della comunità cristiana latina di Damasco, dopo aver speso alcuni anni a Beirut come ministro francescano della Regione San Paolo (Giordania, Libano e Siria).



“Due paesi” ci ha detto “che vivono una crisi reciproca. Fino a pochi anni fa il Libano rappresentava un polmone che permetteva alla Siria di sopravvivere alle ingiuste sanzioni economiche imposte dall’Occidente, che ci hanno strangolati, ma adesso anche il Libano è sprofondato nella crisi economica più grave della sua storia”.



Gli spiragli di speranza comunque sono rappresentati dall’inizio dei colloqui ad alto livello fra rappresentanti del governo siriano e Turchia, dopo che per più di dieci anni Ankara ha combattuto e si è opposta al regime del presidente Assad.

Ci conferma, come si legge su alcuni media in lingua araba, che ci sono stati dei colloqui fra rappresentanti del governo siriano e di quello turco?

Sì, è quello che abbiamo letto anche noi. Dopo l’incontro dello scorso 19 luglio a Teheran, dove tra Turchia, Iran e Russia si è dato inizio a questi colloqui, Erdogan in persona ha espresso il desiderio di incontrare Assad, cosa che al momento non è ancora stata possibile. Questo inizio di dialogo rappresenta la speranza di un cambiamento dopo oltre dieci anni di guerra, finalmente si chiede al governo siriano un incontro con un Paese che fino a ieri era nostro nemico dichiarato. Ci sono già dei frutti in questo senso: i colloqui, anche se al momento a livello di intelligence dei rispettivi Paesi, continuano e rappresentano il preludio a un possibile incontro fra Erdogan e Assad.



I colloqui per adesso saranno incentrati sulla definizione dei ruoli dei due Paesi per trovare un accordo di pace?

Sì. I turchi sono presenti militarmente in Siria da tempo, hanno occupato nostri territori al nord, dove si trovano i curdi. Si sta cercando una soluzione. Ma soprattutto, se la Turchia si riconcilierà con la Siria, vorrà dire che la Siria lo farà anche il mondo sunnita, Paesi come il Qatar e l’Arabia Saudita. Quindi la speranza che ci sia una fine al disastro del nostro Paese è tanta. Soprattutto la fine dell’isolamento economico a cui siamo sottoposti da 12 anni.

A spingere a questi incontri, sempre da quanto si legge, è stata Mosca. Sembra infatti che stia trasferendo in Ucraina gran parte delle sue truppe presenti in Siria. Le risulta?

Non sono in grado di confermarlo, non c’è stata alcuna dichiarazione da parte di rappresentanti russi che abbiano annunciato trasferimenti di truppe. Non possiamo verificare sul territorio. Rimane certamente la loro presenza nella base di Tartus, la più grande base russa nel Mediterraneo, e poi la Russia è un paese talmente grande e potente che non ha bisogno di ritirare le sue truppe da un fronte per mandarle in un altro.

Intanto l’Iran e le milizie filo-iraniane presenti in Siria si fanno sempre più sentire. Un paio di giorni fa per la seconda volta in un mese è stata attaccata una base americana e Israele ha bombardato gli aeroporti di Damasco e di Aleppo, dicendo che l’Iran manda armi in Siria usando aerei civili.

Certo, in Siria ci sono ancora gli iraniani così come gli americani. Quanto sostiene Israele non ha alcuna concretezza, nessuna verifica. Il suo comportamento è inaccettabile, nessun paese sovrano permetterebbe ad aerei militari di entrare sul proprio territorio e bombardare quando vogliono e con qualunque pretesto. È una cosa inammissibile che la Siria subisce contro ogni legge internazionale.

Lei è stato a lungo in Libano, un altro paese travolto da una crisi economica devastante. Quanto pesa sulla Siria questa situazione?

Siria e Libano vivono una crisi reciproca. Quando è iniziata la guerra il Libano rappresentava uno spiraglio, era il polmone che ci permetteva di respirare e sfuggire alle sanzioni economiche, sia tramite il porto di Beirut sia tramite il sistema bancario libanese. Ma da quando, nell’ottobre 2019, è cominciata la crisi più grave della storia del Libano, dove sono spariti 40 miliardi di risparmi rubati dalle banche e dai politici, e poi c’è stata l’esplosione al porto di Beirut, tutto è cambiato. La Siria è l’unico paese nel quale i libanesi possono vendere i loro prodotti come frutta e verdura, ma abbiamo bisogno del Libano di una volta, con un sistema bancario che era in grado di sostenerci e un porto che funzionasse.

La situazione economica in Siria è sempre tragica?

Ogni giorno che passa lo diventa sempre di più. Non si vede una speranza, una possibilità di riprendere a vivere dignitosamente. Proprio qualche giorno fa parlavo con un giovane che mi diceva che voleva andarsene, perché non vede alcuna soluzione. Gli ho risposto: ma stavi per sposarti, rinunci al matrimonio? E lui mi ha detto: sì, non posso sposarmi senza avere un lavoro né un futuro.

(Paolo Vites) 

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