Il rumore sollevato dall’intervento militare della Turchia in Siria sembra far dimenticare che si tratta del terzo intervento turco, dopo quelli del 2016 e del 2018, malgrado la piena presenza, allora, delle truppe americane. Né dovrebbe destare particolare sorpresa, perché la rapidità di azione dimostrata dopo quello che è apparso come un via libera da parte di Trump, indica che l’operazione era programmata da tempo. La sorpresa, semmai, viene dai contenuti non lineari dei “cinguettii” di Trump, in contraddizione con le posizioni del Pentagono e con diverse dichiarazioni ufficiali del suo governo.
Gli aspetti paradossali della situazione portano a pensare che dietro le operazioni turche vi sia un possibile patto tra Trump, Putin ed Erdogan, che porrebbe al contempo limiti all’intervento. Verrebbe così spiegato un tweet di Trump, che minaccia di “distruggere e cancellare” l’economia turca se l’intervento in Siria diventasse “off limits”. Non è però specificato quali siano questi limiti. Anche Mosca lancia un avvertimento ad Ankara, sia pure in termini più diplomatici. In un comunicato del portavoce del Cremlino, dopo aver affermato di non essere stati informati della decisione americana, si riconosce il diritto della Turchia alla propria sicurezza. Si richiama, però, Ankara a rispettare l’integrità territoriale della Siria e si fa chiaramente intendere l’avversione a una prolungata permanenza di truppe turche nel Paese.
Malgrado queste possibili limitazioni, Erdogan sembrerebbe trarre i maggiori vantaggi dal ritiro da parte di Trump dell’appoggio agli alleati curdi, le principali vittime di questa operazione. Il presidente turco ha chiaramente illustrato gli obiettivi dell’intervento: creare una zona cuscinetto alla frontiera con la Siria che, ripulita dai curdi siriani, potrebbe rendere possibile il rientro di una parte consistente dei quasi quattro milioni di profughi siriani attualmente in Turchia. Il costo verrebbe pagato soprattutto dalle popolazioni locali, con il probabile esodo di parecchie decine di migliaia di persone.
Ankara dovrà, tuttavia, fare i conti con la determinazione dei curdi siriani a difendere a tutti i costi il loro territorio, pur di fronte alla superiorità militare turca. I curdi si sono già dimostrati bravi combattenti contro l’Isis e possono dar luogo a una pericolosa guerriglia contro l’esercito turco. Inoltre, hanno attualmente sotto custodia migliaia di combattenti stranieri dell’Isis che, sotto attacco, potrebbero liberare, rafforzando così le milizie jihadiste ancora presenti in Siria. Se i combattenti cadessero in mano ai turchi, Erdogan potrebbe usarli contro l’Europa, come già minacciato con i migranti.
Per quanto riguarda Putin, i suoi obiettivi sembrano chiari: mantenere l’integrità del territorio siriano sotto il governo dell’alleato/protetto Assad e approfittare della volatile politica statunitense per porsi come arbitro nelle varie contese. Infatti, Mosca pare considerare solo l’Isis come nemico nella regione e tende a porsi come intermediario tra le parti in conflitto: Turchia, Iran, Siria, curdi, avendo con tutti rapporti, per quanto non sempre semplici. In questo momento, invece, Washington non può contare su molti amici nell’area.
Qualche tempo fa, Trump ha dichiarato che l’unica ragione della presenza degli Stati Uniti in Medio Oriente è Israele, ma proprio queste sue ultime mosse stanno destando preoccupazioni anche a Gerusalemme. Gli israeliani paiono particolarmente colpiti dalla noncuranza con cui Trump ha abbandonato i curdi al loro destino. Ciò fa loro temere che gli Stati Uniti non siano più affidabili come alleati, la stessa accusa, peraltro, rivolta a Trump in Patria, perfino da suoi sostenitori nel Partito Repubblicano. Inoltre, si teme che i curdi per difendersi possano ritornare a collaborare con Assad, rendendo più forte di conseguenza anche la posizione in Siria dell’Iran. Il quale, dal canto suo, ha provveduto nei giorni scorsi a condurre esercitazioni militari, che non erano state annunciate, ai confini con la Turchia.
Erdogan accusa i curdi siriani di essere collegati al Pkk, il partito di sinistra curdo che opera in Turchia e che è definito un’organizzazione terrorista. I curdi sono molto divisi tra loro, ma potrebbero essere indotti a riunirsi di fronte a un nemico comune, il governo turco, e potrebbero riprendere gli attentati in Turchia. Ankara ha condotto operazioni militari anche nel nord dell’Iraq, contro basi del Pkk e, comunque, non vede di buon occhio la costituzione di un Kurdistan autonomo, come avvenuto in Iraq. La richiesta di un’autonomia, se non proprio dell’indipendenza, è una richiesta anche dei curdi in Turchia, di cui costituiscono quasi il 20% della popolazione.
Le dichiarazioni di Trump hanno fatto ricordare a molti il ritiro americano dal Vietnam: allora, ciò significò la consegna dei vietnamiti del Sud alla dittatura comunista; ora, il ritiro dalla Siria rischia di far deflagrare definitivamente la già esplosiva situazione in Medio Oriente. Ed è dubbio che questo possa aiutare Trump nella sua corsa alla rielezione.