Dopo che per anni Stati Uniti, Assad e Russia hanno fatto credere che lo Stato islamico era stato sconfitto ed eliminato dalla Siria, ecco che riprende nuovamente forza. L’ultimo episodio è emblematico e mostra che l’Isis è di nuovo in grado di fare la guerra e mettere in atto azioni che si pensava non essere più in grado di fare. Si sapeva dell’esistenza di piccoli gruppi di sbandati, ma l’attacco in grande stile alla prigione di Ghweiran nella regione nord-orientale del paese è qualcosa di diverso. Nella prigione le forze curdo-siriane trattenevano migliaia di ex terroristi catturati durante la riconquista dei territori settentrionali. Sono intervenute le forze del governo siriano insieme a elicotteri americani, almeno 67 carcerati sono stati uccisi mentre in un centinaio sarebbero riusciti a fuggire. Tra le vittime, 23 sono membri delle forze di sicurezza curde e guardie carcerarie, 39 sono militanti e 5 i civili.



Come ci ha spiegato in questa intervista padre Firas Lutfiministro francescano della Regione San Paolo (Giordania, Libano e Siria), “la povertà in Siria ha raggiunto livelli mai toccati prima nella nostra storia. Il 60% della popolazione non sa se mangerà domani. Circa 12 milioni di persone, quasi il 60 per cento della popolazione, vive nell’insicurezza alimentare senza sapere se domani mangerà. Si tratta del numero più alto mai registrato nella storia siriana”.



Questa situazione porta molte persone a unirsi alle milizie islamiche, attratte da una paga che tocca “anche i duemila dollari al mese”. Alla base di tutto, ci dice ancora, “le sanzioni occidentali contro Assad che ci hanno ridotti in questo stato”.

Pur sapendo dell’esistenza di piccoli gruppi ancora legati all’Isis, nessuno si aspettava un’azione come questa. Che idea si è fatto dell’episodio?

È un evento strano, attaccare una prigione dove sono tenuti tanti ex combattenti dell’Isis. C’è una ripresa o addirittura una riorganizzazione dello stato islamico dopo che sembrava tutto finito e questo è un problema serio, molto pericoloso. Nascono spontanee due domande.



Ci dica.

Perché non è stato eliminato al cento per cento questo esercito di terroristi dopo che il loro leader al-Baghdadi è stato ucciso e dopo che hanno perso la loro capitale Raqqa e una città importante come Mosul? La seconda domanda riguarda la provenienza di tutti i soldi per pagare questi jihadisti, si parla di duemila dollari al mese per ogni combattente. Chi paga? Attraggono persone sia dalla Siria che dal Libano dove c’è ormai una povertà devastante e tanti giovani vanno a unirsi a queste milizie. Sono domande che vanno poste alla comunità internazionale: chi vuole ancora destabilizzare l’area?

È possibile secondo lei che dietro ci siano i turchi? L’assalto alla prigione è avvenuto nella zona controllata da loro, ricordiamo quando i turchi invasero questa regione della Siria per eliminare quello che nell’ottica di Ankara è uno dei loro principali nemici.

Dire chi possa esserci dietro i jihadisti è difficile, se non impossibile. Il caos su cosa sta succedendo, su chi finanzia e protegge questi assassini è troppo grande. Ma è la comunità internazionale che deve comunque interessarsi a quanto sta avvenendo, perché quanto successo è molto grave. Si sperava che l’Isis, che ha seminato morte e terrore, fosse stato eliminato, ma evidentemente non è così. L’intelligence americana e quella russa dovrebbero sapere molto bene come si trafficano armi e soldi. Se queste persone trafficano con i dollari, è facile capire chi è che ha in mano il dollaro nel mondo, no?

La Siria è comunque territorio di interesse di tante nazioni dall’Iran all’Arabia Saudita, manca un forte governo centrale, l’instabilità è totale.

La Siria vive sotto il flagello delle sanzioni imposte dalla comunità internazionale. Se un paese non può importare o esportare le materie prime come le medicine, il gasolio, il cibo, è ovvio che sprofonderà sempre più nella miseria. Ci sono madri che dicono che con l’inverno imminente si troveranno tra l’incudine e il martello. O decidono di sfamare i propri bambini, lasciandoli al gelo, o li tengono al caldo facendo loro soffrire la fame. Non possono permettersi sia cibo che carburante.

E in questa situazione, come sempre, se ti offrono dei soldi per combattere, pur di non morire di fame, lo fai: è così?

Sì, è così. Bisogna combattere le strutture del male, la struttura della povertà, non la povertà in sé che è conseguenza di un sistema locale ma anche internazionale.

(Paolo Vites) 

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