Governi solidi non ce ne sono o, se esistono, come in Eritrea, durano solo perché fanno il pugno duro. L’intero Corno d’Africa è una polveriera pronta a esplodere, anche se più di una detonazione nell’area si è già sentita. A riaccendere l’attenzione su questa regione martoriata è stato un attentato di Al Shabaab, gruppo terroristico legato ad Al Qaeda per il quale si era parlato anche di una possibile alleanza con gli Houthi: un uomo si è fatto esplodere su una spiaggia a Mogadiscio, capitale della Somalia, dopodiché altri (intercettati successivamente dalla polizia) sono entrati in azione sparando sulla gente. In tutto, 37 morti.



La Somalia, come anche in parte gli altri Paesi della zona, è il teatro in cui si muovono un’infinità di milizie libere di coltivare i propri interessi di fronte a governi fragili (quello di Mogadiscio è guidato da Hassan Sheikh Mohamud) che non assecondano le esigenze della popolazione e a potenze straniere che vogliono essere presenti per dire la loro nel Mar Rosso, via di passaggio di gran parte del commercio mondiale. L’interessamento esterno è dovuto anche alla presenza di diverse materie prime che fanno gola alle economie di mezzo mondo: la Somalia, ricorda Mussie Zerai, sacerdote eritreo che ha vissuto in Italia occupandosi di migranti e di rifugiati dell’Africa subsahariana, è un Paese noto per avere disponibilità di uranio, ricercatissimo anche dalle milizie che vogliono realizzare lauti affari vendendolo ai governi interessati a sviluppare un programma nucleare.



Un attentato di Al Shabaab su una spiaggia di Mogadiscio ha fatto 37 morti. La Somalia e il Corno d’Africa sono sempre più instabili?

Al Shabaab è radicato in Somalia da tanti anni, cerca di destabilizzare il fragile governo somalo riconosciuto dalla comunità internazionale. Vuole prendere il Paese, ma non ha la forza di farlo. D’altra parte è dal 1994 che la Somalia è in questa situazione di caos e di continui attentati. Non so chi sostiene Al Shabaab, di certo per eliminarlo basterebbe smettere di fornire armi che costano milioni di dollari. In quell’area ci sono troppi interessi, soprattutto per la presenza del Mar Rosso, da cui passa il 60% del commercio mondiale. Troppi interessi, troppe potenze straniere e gruppi che agiscono nella zona.



Il terrorismo è un problema presente in tutta l’area, non solo in Somalia.

La Somalia confina con l’Etiopia e con il Kenya, anche lì in passato sono stati messi a segno attentati del genere. In tutta l’area, la presenza di un gruppo così attivo e violento non lascia tranquillo nessuno. I somali di Al Shabaab e altri gruppi sono stati responsabili di episodi di pirateria nel Mar Rosso, mentre ora sono gli Houthi a essersi guadagnati la scena. In Somalia, comunque, ci sono tanti gruppi armati, che si rifanno a diverse nomenclature: a volte si fanno guerra tra di loro e a volte si alleano. È uno dei motivi del caos che regna nel Paese, una circostanza che non dà pace neanche nei Paesi vicini.

L’instabilità e il terrorismo possono espandersi?

L’Eritrea è un po’ lontana per essere influenzata, anche se in passato il regime eritreo è stato accusato di aver sostenuto e addestrato Al Shabaab. Attualmente, tuttavia, la Somalia ha chiesto proprio all’Eritrea di addestrare i suoi soldati per combattere Al Shabaab, le cui incursioni, comunque, toccano più da vicino Etiopia e Kenya, così come l’Uganda. Eritrea e Gibuti sono stati risparmiati.

Su quali altri interessi hanno messo gli occhi le potenze straniere che hanno influenza nel Corno d’Africa?

Questi territori sono ricchi di diverse risorse naturali. In Somalia, per esempio, c’è l’uranio che fa gola a tanti governi e a tante milizie, soprattutto per poterlo vendere a Paesi e governi interessati. Altre risorse sono oro, gas e petrolio: tanti, insomma, sono gli interessi che riguardano la costa somala. Andando più su, l’interesse vero, però, resta quello di controllare il commercio mondiale che passa per l’imbuto del Mar Rosso.

Quali sono i Paesi stranieri che fanno sentire di più la loro influenza?

In Somalia ci sono anche compagnie americane che erano lì prima del 1994 e sono rimaste. Poi sono arrivati i turchi e c’è stato un interessamento degli Emirati e dei sauditi.

Anche russi e cinesi?

Anche se non hanno una presenza strutturata, sono comunque vicini. I cinesi hanno una base militare a Gibuti, i russi sono molto interessati a quella zona. Esercitano un’influenza anche attraverso i BRICS, di cui l’Etiopia fa parte.

Se facciamo una panoramica dei Paesi del Corno d’Africa, insomma, nessuno garantisce grande affidabilità?

Forse l’unico governo stabile è quello di Gibuti, che è un piccolo Stato ed è pieno di basi militari delle grandi potenze. L’Etiopia ha tanti problemi interni, la Somalia è quello che è, l’Eritrea è stabile perché ha un regime che controlla tutto e tutti. Infine il Kenya, che è considerato uno dei Paesi più stabili, è appena stato attraversato da un’ondata di tumulti.

Il Kenya, tra l’altro, ha rapporti molto stretti con gli USA. Non basta per garantire un po’ di sicurezza?

Ha accordi con gli americani, ma non lo hanno messo al riparo da incidenti come quelli che sono successi nelle ultime settimane, a causa della contestata legge finanziaria. Se non si fanno gli interessi del popolo, la gente pazienta, ma poi esplode.

Perché i governi sono così fragili?

Le potenze che vogliono sfruttare l’Africa hanno bisogno di governi fragili politicamente o economicamente, quindi ricattabili. Se ci sono governi forti, capaci di guidare il loro Paese senza appoggiarsi a nessuno, non possono più sfruttarli per i loro affari.

(Paolo Rossetti)

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