Dal 1991 e dalla fuga del presidente Mohamed Siyad Barre, cacciato dalle milizie, la situazione in Somalia è anarchica e inestricabile. Nel dicembre 1992, l’ONU lancia una missione di ristabilimento della pace per disarmare le milizie, la United Task Force (UNITAF), alla quale gli americani sono associati tramite la loro operazione Restore Hope, che conta 25mila uomini e mezzi materiali smisurati. I militari francesi, invece, sono associati all’UNITAF in una missione autonoma, l’operazione Oryx. L’ONU, impotente, interrompe la sua missione nel maggio 1993; sul fronte americano, l’operazione Restore Hope viene sostituita dal 4 maggio da Continue Hope. Quest’ultima si concluderà in un fiasco da antologia, dopo che il 3 ottobre 1993 un attacco della Task Force Ranger a bordo di elicotteri MH-60 Blackhawk aveva fallito nel catturare il capo delle milizie Mohamed Farrah Aidid e i suoi principali subordinati. Diciannove americani vennero uccisi nell’operazione e 84 feriti, il presidente Bill Clinton chiuse Continue Hope subito dopo.
Terminata la missione USA, abbandonata a sé stessa, la Somalia si trasforma in un inferno. Gli sforzi politici e diplomatici volti a dotare la Somalia di un potere efficace e credibile rimangono vani: dopo tanti anni di anarchia, il Paese cade sotto il controllo degli islamisti radicali. Nel luglio 2008, Bernard Kouchner, diventato ministro degli Esteri del governo di François Fillon, richiede l’invio di una missione militare francese in Somalia, in particolare per studiare sul posto la creazione di una forza militare diretta dal governo di transizione. L’Eliseo prende contatto con lo stato maggiore delle forze armate e con il generale del comando delle operazioni speciali (COS) ammiraglio Pierre Martinez, che ritiene che l’operazione sia troppo rischiosa.
La DGSE viene sollecitata: il suo servizio Azione sarebbe in grado di dare manforte al governo somalo? Il direttore della DGSE, Pierre Brochand, si oppone fermamente. La situazione è più spaventosa che mai in Somalia. Un militante sta guadagnando una crescente importanza: Ahmed Abdi Godane, capo del Harakat al-Shabaab al-Moujahidin, aderente a una concezione rigorista dell’islam. Questo gruppo è una emanazione dell’Unione dei tribunali islamici somali, che ha progressivamente imposto la sua legge e la sharia nel centro e nel sud della Somalia prima di prendere il controllo della capitale Mogadiscio nel 2006.
Nel giugno 2009, Godane si rivolge ai giornalisti di Mogadiscio, dichiarando la sua intenzione di prolungare la lotta dei suoi miliziani fino alla liberazione di Gerusalemme. Affermando di combattere per la liberazione della “Terra Santa di Somalia”, gli shabaab (i giovani, in arabo) giurano fedeltà, alla fine dell’estate 2009, all’organizzazione terroristica al-Qaeda.
Il segretario generale aggiunto dell’ONU incaricato delle operazioni di mantenimento della pace, Burton Lynn Pascoe, insiste il 10 luglio 2009 a New York sul fatto che il governo somalo continua a far fronte agli assalti degli insorti, sostenuti da combattenti stranieri. Egli auspica che la Somalia riceva un sostegno internazionale. Si preoccupa in particolare delle attività del gruppo islamista radicale al-Shabaab, che ha intensificato la sua strategia di intimidazione della popolazione, commettendo assassinii mirati di capi clan e rappresentanti governativi, inclusi decapitazioni di leader comunitari locali. Pascoe aggiunge che la resistenza della popolazione ad al-Shabaab e ai combattenti stranieri rafforzerà gli sforzi di mobilitazione politica messi in atto dal governo.
Nel dicembre 2008, il presidente somalo Abdullahi Yusuf Ahmed viene sostituito dal “moderato islamista” Sharif Sheikh Ahmed, durante un’elezione tenuta dal Parlamento riunito a Gibuti. Su istruzione del ministero degli Esteri francese, il rappresentante della Francia alle Nazioni Unite, l’ambasciatore Jean-Maurice Ripert, ricorda il 10 luglio 2009 gli sforzi del suo Paese per garantire la sicurezza della navigazione al largo della Somalia, dove operano i pirati, e sottolinea che le consegne del Programma Alimentare Mondiale (PAM) verso quel Paese sono quadruplicate tra il 2007 e il 2008; la Francia ritiene che il suo ruolo diplomatico in quella parte del mondo, dove è molto presente, le imponga di intervenire in Somalia.
Proprio per questo la Francia intende formare soldati somali direttamente nel loro Paese. Due funzionari francesi e cioè Marc Aubrière e Denis Allex sono consapevoli del pericolo. Non partono alla leggera. La loro missione di assistenza prevede che tutto si svolga all’interno di una zona sicura, nei pressi dell’aeroporto di Mogadiscio. Ma la prima sera questo non sarà possibile. Si sistemano per la notte all’hotel Sahafi di Mogadiscio. Senza preavviso, un commando di una decina di uomini armati irrompe nell’edificio. Dopo aver minacciato e disarmato le guardie di sicurezza dell’hotel, si dirigono direttamente nelle camere dove si trovano i due francesi, che vengono rapiti.
Dopo il rapimento, l’appartenenza dei due francesi ai servizi speciali del servizio segreto francese esterno e cioè la DGSE viene rapidamente rivelata da un alto responsabile somalo. All’interno della DGSE tutta intera, e ancora di più tra gli amici dei due uomini a Perpignano, c’è costernazione. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto 2009, Marc Aubrière, che non è stato venduto agli stessi carcerieri del suo compagno, riesce a fuggire.
Il commercio degli ostaggi è un affare succoso. Nello stesso periodo, i pirati marittimi che rapiscono i navigatori al largo della Somalia li rivendono a buon prezzo. Gli shabaab prendono volentieri tali vittime se sono redditizie. Nell’ottobre 2010, recuperano presso i pirati due velisti sudafricani, Bruno Pelizzari, che ha anche la nazionalità italiana, e Deborah Calitz.
Tra il rapimento di Denis Allex e la scoperta del nascondiglio in cui è detenuto dai suoi rapitori trascorrono tre interminabili anni, durante i quali la DGSE non allenta mai la sua caccia. I servizi americani, che hanno dato un serio aiuto ai loro colleghi francesi, non hanno lasciato molte speranze. Il loro compagno è un “ghost hostage”, un fantasma. Temono che non lo ritroveranno mai. I francesi hanno tentato di tutto. Gli agenti dei servizi segreti, che hanno lavorato a tempo pieno in Francia e in Africa per scoprire dove fosse il loro amico con tutti i mezzi immaginabili, hanno comunque finito per mettergli le mani addosso. Ci sono voluti 36 mesi di ricerche incessanti per ritrovarlo. Ai primi giorni dell’estate 2012, l’ostaggio è localizzato.
(1 – continua)
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