Il passaggio tra il vecchio e il nuovo anno è un periodo molto importante per il carrello della spesa degli italiani, perché è uno di quelli chiave per la contrattazione dei listini che incidono poi sui prezzi praticati ai consumatori finali. E al momento, come ci spiega Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé, «tra industria e distribuzione i rapporti sono molto tesi».



Come mai?

Poco prima di Natale abbiamo fatto il punto della situazione, in merito alle innumerevoli richieste di aumenti di listino, provenienti dal comparto industriale. La sintesi è stata sconfortante: sono arrivate più di 300 richieste di aumenti di listino dai fornitori per il 2023 dopo che nel 2022 ne abbiamo accolte oltre 1.200. E siamo arrivati alla conclusione che se dovessimo accettarle integralmente, pur scaricandone a valle solo una minima parte, ci sarebbe un rialzo dell’inflazione dei beni alimentari dall’attuale 15% circa a oltre il 20% a marzo, tenendo conto che c’è sempre un lag temporale tra l’accettazione del listino e l’applicazione degli incrementi. E non si può certo permettere che il carrello della spesa degli italiani diventi così costoso.



Anche perché lo sarebbe in un periodo in cui andranno a scadere anche i sostegni del Governo contro il caro bollette…

Sì. È un serio problema. Un’altra ondata inflattiva rischia di contrarre i consumi. E chiaramente questo non sarebbe positivo per tutta l’economia.

Quindi, cosa avete deciso di fare?

Abbiamo chiesto all’intero comparto industriale di cristallizzare questi aumenti di listino almeno per tre mesi e di creare un tavolo tecnico in cui analizzare insieme – avvalendosi del supporto di istituti ad hoc – l’andamento del costo delle materie prime (caffè, frumento, oli, ecc.) e di quelle concernenti la lavorazione dei prodotti (plastica, carta, vetro, banda stagnata, alluminio, ecc.).



Perché è importante questa richiesta sul tavolo tecnico?

Perché è importante sapere se queste richieste di aumento dei listini derivano davvero dall’incremento dei costi delle materie prime o di altri componenti del prodotto finale. Dopo aver correttamente informato anche i presidenti delle organizzazioni dell’industria, abbiamo anche realizzato una comunicazione pubblica, tramite pagine pubblicitarie sui quotidiani, in modo far conoscere ai cittadini lo stato dell’arte e anche per far comprendere loro che i rincari del cosiddetto carrello della spesa non derivano da una scelta autonoma della distribuzione sui prezzi, ma dagli incrementi dei listini richiesti dall’industria, che noi scarichiamo solamente in parte sui consumatori finali.

In effetti c’è forse l’idea che questo sia un buon momento per le casse delle aziende della distribuzione…

Sarà pur vero che tanti nel nostro comparto registrano un aumento delle vendite a valore, ma se guardiamo i livelli dei volumi non per tutti le cose vanno altrettanto bene. Se poi considerassimo anche il tema dei costi, e non solo dei ricavi, allora il quadro sarebbe ancor meno positivo.

Torniamo alla richiesta del tavolo tecnico. Qual è stata la risposta dell’industria?

È stata: non vogliamo parlare di queste cose. E non si capisce come mai manchi la volontà di un confronto.

Dalla stampa si apprende che, secondo un’analisi interna di Centromarca, mediamente solo tra il 20% e il 50% degli extracosti dell’industria è stata trasferita sui listini…

Non voglio demonizzare il comparto industriale perché so che molte aziende sono in difficoltà, però vorrei che il rapporto fosse fair, maggiormente improntato su dati oggettivi. Non potremmo accettare aumenti preventivi perché non si sa bene come andrà il 2023. Per questo abbiamo proposto di verificare congiuntamente come sta andando il mercato delle materie prime, delle componenti dei processi industriali e logistici, tipo i costi dei noli marittimi. Se questo tavolo tecnico che abbiamo proposto dovesse arrivare alla conclusione che le richieste di aumento dei listini sono giustificate noi siamo pronti ad accettarle. E tenteremo di scaricarle il meno possibile al cliente finale.

A questo punto, dopo la risposta che avete avuto dall’industria, cosa accadrà?

La nostra risposta è che non accettiamo aumenti di listino fino a rinnovo del contratto. Questo potrebbe avere delle conseguenze, perché, anche se non è una situazione generalizzata ma limitata ad alcuni casi, a fronte della non accettazione del listino il fornitore potrebbe voler non consegnare il prodotto.

La conseguenza pratica rischia di essere la mancanza di quei prodotti sugli scaffali…

Sì. E non sarebbe certo bello. Vedremo dai primissimi giorni del 2023 come reagiranno i singoli fornitori ai nostri tentativi di procrastinare o non accettare l’aumento dei listini.

Un’ultima domanda: che giudizio dà sulla Legge di bilancio?

Neutro. Continuo ad auspicare che il ruolo della distribuzione venga riconosciuto, perché il valore aggiunto che diamo al Paese spesso non viene preso in considerazione. Resta importante per noi la riduzione del cuneo fiscale, come pure, nel medio lungo periodo, la possibilità a livello europeo di rientrare tra le imprese energivore.

(Lorenzo Torrisi)

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