Mentre il Parlamento europeo approva una dura risoluzione di condanna nei confronti della giunta miliare che ha preso il potere in Sudan lo scorso ottobre e mentre continuano le manifestazioni popolari, represse nel sangue, per chiedere democrazia e libertà, Cina e Russia al Consiglio di sicurezza dell’Onu rifiutano di sottoscrivere termini come “colpo di stato” e “condanna”.
Come ci spiega in questa intervista Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk ex-Urss presso il Ce.S.I, “l’atteggiamento di Pechino e Mosca corrisponde al loro principio di non ingerenza negli affari interni di alcun paese”. Un principio che però nasce dalla difesa dei propri interessi commerciali: “Ci sta che Cina e Russia, a cui non importa se al potere c’è un dittatore o un leader regolarmente eletto, rifiutino di parlare di colpo di stato, a loro interessa mantenere le proprie attività commerciali in Sudan”. E non solo attività commerciali, visto che l’esercito sudanese utilizza armi provenienti da Pechino.
Il Parlamento europeo condanna la giunta militare sudanese, mentre Cina e Russia rifiutano di parlare di colpo di stato. Cosa sta succedendo esattamente?
La questione è semplice. Il Parlamento europeo ha mandato un messaggio politico forte, dato che uno dei pilastri della politica europea è quello di condizionalità della diplomazia degli aiuti e dei supporti. L’Unione europea è uno dei sostenitori principali di aiuti al Sudan, ma d’altra parte le donazioni non vengono concesse senza nulla in cambio, ma a condizione che che sia garantito il miglioramento delle regole democratiche di un paese.
Cosa che non sta affatto succedendo, anzi, è in atto una repressione sanguinaria, è così?
Per questo l’organo politico per eccellenza dell’Ue, il Parlamento europeo, e non un organo tecnico come può essere la Commissione, ha preso posizione. Il resto della comunità internazionale, tra cui Russia e Cina, non usa il principio di condizionalità.
Per quale motivo?
Perché Mosca e Pechino adottano il principio di non ingerenza negli affari interni di un altro paese. Dicono: a noi non interessa chi va al potere e come ci va, in Sudan come negli altri paesi africani, a noi importano i nostri interessi economici. Se ci va un dittatore sanguinario o un leader eletto democraticamente per loro è la stessa cosa.
Però l’esercito sudanese usa armi vendute da Pechino, ad esempio il carro armato Type 96 di fabbricazione cinese.
Non è una novità. Cina e Russia sono i principali esportatori di armi in Africa dagli anni 60. Questo invio di armi inizialmente avveniva a prezzi calmierati e rappresentava il “supporto” tecnico e umanitario che i due paesi offrivano ai partner africani. Invece che inviare medicine o ingegneri, venivano venduti stock di armi a costi molto bassi, appunto come supporto alla stabilità interna. Questo tipo di accordi ha avuto come bilanciamento il fatto che società russe e cinesi fanno affari nel comparto minerario sudanese.
In Sudan è presente anche una missione Onu. Che cosa fa in questo caos?
Si chiama Unitams ed è attiva a Abyei un territorio conteso fra nord e sud. Quando il Sud Sudan è diventato indipendente, gli accordi sui confini sono stati siglati in base alla suddivisione coloniale disegnata dal britannico Duran, la stessa persona che fissò i confini delle zone tribali tra Pakistan e Afghanistan. Un uomo che è andato in giro a fare danni in tutto il mondo.
Perché questo territorio del Sudan è così conteso?
Abyei è l’ultimo territorio ricco di petrolio che il Nord Sudan controlla. Se passasse al Sud Sudan, come dovrebbe accadere secondo un referendum programmato, ma che non viene ritenuto valido perché non si riesce a definire chi potrebbe o non potrebbe votare, il Nord del paese resterebbe senza questa importantissima risorsa.
La missione Onu controlla che non si torni alla guerra tra i due Sudan?
Sì, c’è un’altra missione delle Nazioni Unite, nel Darfur, per controllare che non si torni alla stermino della popolazione locale. Però quello dell’Onu è un ruolo abbastanza risibile rispetto alle problematiche del paese. Ci vorrebbe ben altro per portare pace in Sudan.
(Paolo Vites)
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