Sono presenti In Sudan, dove è esploso l’ultimo dei conflitti del continente. Ma i russi puntano a tutta l’Africa. E non solo a quella. Per capire la politica estera di Putin bisogna però rifarsi alla tradizione della Chiesa ortodossa russa e alla sua missione di salvare il mondo in quanto unica Chiesa universale.
Lo spiega Stefano Caprio, sacerdote in rito bizantino-slavo, residente in Russia dal 1989 al 2002, docente di patrologia e teologia e autore di numerosi studi dedicati al rapporto tra potere e ortodossia. Molti preti ortodossi russi, tra l’altro, hanno un passato da militari. Come Leonid, il metropolita cui fa capo l’Esarcato dell’Africa, dove Mosca vuole essere presente anche con le emanazioni del suo patriarcato.
I russi avevano già messo gli occhi sul Sudan e ottenuto la possibilità di realizzare una loro base navale nel Paese. Ora che c’è la guerra civile per non sbagliare stanno finanziando entrambe le parti in conflitto?
Il problema è che in Sudan è anche difficile distinguere tra i due contendenti. Le forze di sostegno rapido facevano parte dell’esercito, anche se non erano formalmente inglobate, ma poi si mettono contro a seconda dei capi: è una questione quasi tribale, di bande. Tra una settimana o due magari si mischiano di nuovo. Di fatto i russi hanno contatti dai tempi sovietici: in buona parte dell’Africa c’erano regimi che erano allineati con l’Urss. Adesso una delle strategie dell’ideologia putiniana non è solo quella di riprendersi i territori ex sovietici come l’Ucraina, ma anche di riprendere i contatti con i Paesi che erano amici dell’Unione Sovietica, in Africa come in Asia e America Latina.
All’Africa sono particolarmente interessati?
L’Africa ha una certa priorità perché ha giacimenti minerari molto importanti. In Asia più di tanto i russi non si possono muovere: c’è la Cina di mezzo, e anche la Turchia. In America Latina c’è uno spirito antiamericano già da tempo, che i russi alimentano, ma è una zona che gli Usa possono controllare di più. L’Africa, invece, è a sud dell’Europa, crea problemi all’Europa per i migranti e per una serie di relazioni tra i Paesi dei due continenti. Lì i russi imperversano. Chi ha intuito meglio la situazione è stato Prigozhin, con la sua compagnia Wagner, che ha dislocato le sue forze dove ci sono regimi, contatti, problemi, su cui i russi possono giocare per riprendere un po’ il controllo. Come è successo in Sudan, in Mali, in Algeria, in Libia.
Per questo la Wagner in Sudan controlla una parte delle miniere?
Prigozhin prima ancora di essere fondatore di una compagnia militare è un oligarca con affari in tutto il mondo. Da oligarca operava con le miniere del Sudan. Adesso, visto che gli affari sono bloccati per via delle sanzioni, punta tutto sulla compagnia militare.
Il fatto che sia un oligarca non è abbastanza sottolineato?
È chiamato il cuoco del Cremlino perché è diventato già negli anni 90 il principale businessman del catering. Aveva aperto ristoranti a San Pietroburgo, in uno dei quali andava Putin, portando i suoi ospiti. Ha cominciato a diventare cuoco di Putin, poi ha preso il catering del Cremlino. Partendo da qui ha diversificato i suoi affari in tutto il mondo.
I contatti con i capi degli schieramenti oggi in lotta in Sudan hanno già qualche anno. Dagalo, detto Hemetti, che si è ribellato ad Al Burhan, di cui era il vice fino a poche settimane fa, era andato anche a Mosca. Che rapporti aveva con i russi?
Sembra che sia andato a Mosca con una valigia piena di lingotti d’oro per avere forniture militari. Allora parlava per conto del Governo, non era per fare una rivolta.
Usare l’oro era un modo per fare affari nonostante le sanzioni?
Sono otto anni che ci sono sanzioni, da quando è stato fatto il referendum per l’annessione della Crimea. Il lavoro per aggirare le sanzioni la Russia lo sta affinando da parecchio tempo.
Questo attivismo russo in politica estera ha ragioni anche più profonde, storiche?
Non solo storiche, anche religiose. Nell’89, quando è caduto il muro di Berlino, nei Paesi satelliti dell’Europa orientale c’erano 500-600mila soldati dell’Armata Rossa, anche membri del Kgb come lo stesso Putin, che era a Dresda, in Germania Est. Sono dovuti tutti tornare in patria, dove non avevano casa e lavoro. Moltissimi, e stiamo parlando di centinaia se non migliaia di soldati, sono diventati preti, perché era l’unica istituzione sovietica rimasta e aveva caratteristiche simili all’esercito: la disciplina, l’ideologia, al posto di Lenin metti Gesù, invece della veste militare metti la tonaca. I preti ortodossi sono sposati, non hanno bisogno di rinunciare alla famiglia.
Sono diventati preti anche esponenti del Partito comunista?
Sì, è successo anche per molti membri del Partito comunista, sciolto nel ’92: c’erano 12 milioni di persone che avevano lavoro e ruoli grazie al partito. Anche loro sono diventati preti perché la Chiesa ortodossa ha assunto un po’ il ruolo del partito, l’ente ideologico che suggerisce la politica.
La politica estera espansionista dei russi è legata anche alla missione che si attribuisce la Chiesa ortodossa?
I russi si sono trovati, verso il 1400-1500, a essere l’unica Chiesa ortodossa libera, perché tutte le altre erano sottoposte all’Impero ottomano. E siccome i cattolici erano considerati eretici hanno pensato di essere la Chiesa universale, quella che deve salvare il mondo intero. C’era l’idea di influire dappertutto: è la natura del patriarcato di Mosca.
Per questo ora, ad esempio, il patriarcato di Mosca è presente anche in Sudan e comunque in Africa in generale?
Prima le zone fuori da quelle tradizionali dell’ortodossia erano affidate al patriarcato di Costantinopoli, ma siccome Mosca ha rotto con Costantinopoli e la considera scismatica perché appoggia la Chiesa autocefala ucraina, i russi pensano di dover aprire in tutto il mondo le loro Chiese: per i russi che stanno all’estero, ma anche per gli altri ortodossi che non si fidano più di Costantinopoli. E magari per altri che capiscono che la Chiesa ortodossa russa è l’unica vera Chiesa.
L’idea è proprio di occupare il mondo intero?
Hanno un esarcato per l’Africa, uno per l’Asia meridionale-orientale, hanno strutture ampie in America Latina, esistono persino nell’America del Nord, una Chiesa nata in epoca sovietica.
L’attivismo dei russi in politica estera, quindi, ha radici religiose?
Sì. La politica putiniana è figlia delle tradizioni dell’ortodossia. Poi, che Putin abbia preso una linea militare, distruttiva, aggressiva, non si può attribuire al patriarcato. Ma l’intenzione di avere un ruolo mondiale sì. Nei monasteri più radicali da anni si dice che bisogna fare la guerra con l’Occidente.
La presenza in Africa tiene insieme sacro e profano, Wagner ed esarcato della Chiesa ortodossa?
Per loro la parte militare è sacra: non la considerano una parte profana. L’esercito è eroismo, martirio, spiritualità pura, lo spirito è quello delle Crociate. Allora si facevano per liberare il mondo dagli infedeli. I russi usano la stessa retorica: vogliono salvare il mondo dagli infedeli, che sono gli occidentali.
Il ruolo della Wagner in Sudan e in Africa è legato in qualche modo anche alla Chiesa ortodossa?
Se si pensa che Leonid, il metropolita esarca per l’Africa, è anche lui un ex militare, si può capire che si intendono bene. Gli ortodossi russi stanno cercando di aprire rappresentanze in tutti i Paesi africani. E ovviamente là dove la Wagner controlla i regimi è più facile.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI