Il Sudan è da sempre il maggiore snodo del traffico di esseri umani provenienti dall’Africa orientale, ci spiega Marco Di Liddo, analista responsabile del Desk Africa e del Desk ex-Urss presso il Ce.S.I. L’attuale situazione di crisi dopo il colpo di Stato militare che ha deposto il presidente Omar al Bashiri e il pericolo che possa espandersi e aumentare potrebbe portare a un maggior potere delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico dei migranti: una situazione, ci ha detto, che l’Unione Europea guarda con grande preoccupazione, in quanto non si potrebbe mai gestire una situazione in cui al caos in Libia si aggiungesse il Sudan.
Una strage avvenuta nei giorni scorsi a Khartoum è costata circa 35 vite umane a causa della repressione dei militari contro un sit-in delle associazioni civili. Chi sono questi militari che hanno deposto il presidente del Sudan, che cosa vogliono, che cosa rappresentano?
Il consiglio militare di transizione, come si fa chiamare questa giunta che detiene il potere, non è altro che il volto politico di tutti quei poteri legati alle forze armate e agli apparati di intelligence sudanese che erano in combutta con Bashir, la spina dorsale del suo potere, e che la rivoluzione con un tentativo cosmetico e propagandistico ha destituito come capro espiatorio. Si sono posti come autorità ad interim per garantire la stabilità nel paese.
In Sudan era in atto una rivolta popolare contro Bashir, rappresentano dunque la sua continuità con un volto diverso?
I militari hanno cercato di cooptare la rivolta, cercando di porla in un binario da loro controllabile. È un tentativo che cerca di stemperare le tensioni nel paese ma ha dei limiti evidenti.
Quali?
La società civile e le forze di opposizione sono una serie di piattaforme variegate che chiedono che i militari lascino qualsiasi ruolo politico passandolo ai civili. La parte più estremista chiede un passaggio totale dei poteri mentre i moderati aprono a un dialogo e potrebbero concedere ai militari gli affari di difesa e sicurezza. Però sono equilibri molto precari, perché i militari dicono di volere aprire alla società civile, dall’altro vogliono farlo alle loro condizioni, che non vengono accettate dalle associazioni civili.
Gli scontri dell’altro giorno significano una escalation in questo confronto?
Le proteste fino a oggi erano state gestite con ragionevole buonsenso, ma l’altro giorno c’è stata una degenerazione e l’esercito ha sparato sulla folla.
Dal punto di vista del mondo arabo, questo nuovo Sudan di che sostegni gode?
Il consiglio militare cerca di accreditarsi internazionalmente e sente le spalle coperte grazie al riconoscimento dei sauditi, dei russi e degli Emirati Arabi Uniti, che continuano ad appoggiare il Sudan per una ragione di continuità con il passato. La piazza invece ha il sostegno dell’Unione Africana e in modo limitato dell’Unione Europea.
Il Sudan di Bashir era conosciuto come un paese fondamentalista in cui era accettata anche la sharia, è così anche con i militari al potere?
Il Sudan è un paese molto differenziato e variegato. I fondamentalisti islamici, gli ultra conservatori sono solo una parte del panorama politico sudanese, una parte ben organizzata però minoritaria. I militari li cercano solo quando gli conviene.
Il Sudan è anche un importante snodo migratorio. Questa situazione che cosa rappresenta nel quadro generale del problema dei migranti?
Il Sudan è il punto di snodo per il traffico di esseri umani che provengono dall’Africa orientale. Khartoum è il centro principale, un eventuale sprofondare del Sudan in una situazione di crisi più violenta e più estesa destabilizzerebbe il paese e quindi darebbe ai criminali più potere per la gestione del traffico. L’Ue vorrebbe evitare questa situazione, diversamente ci troveremmo con un problema gigantesco costituito da Sudan e Libia.