La vicenda del superbonus per le ristrutturazioni abitative sta assumendo i contorni di una mezza tragedia. La possibilità di scaricare sullo Stato costi superiori a quelli sostenuti dai committenti ha generato una serie di criticità che rischiano di produrre effetti debordanti per la spesa pubblica e profonde distorsioni nelle dinamiche economiche e comportamentali del settore delle costruzioni.



L’importo delle prenotazioni derivante dalle domande inoltrate all’Agenzia delle Entrate ha superato i 70 miliardi di euro – più del doppio rispetto alla copertura di spesa prevista per tale scopo -, ma le misure introdotte con colpevole ritardo per cercare di limitare gli abusi, in particolare le limitazioni per la cessione dei crediti d’imposta verso altri intermediari finanziari da parte delle banche e delle imprese, hanno praticamente reso impraticabile la possibilità di utilizzare questa leva da parte dei committenti, obbligandoli a fare i conti con la capienza fiscale delle proprie dichiarazioni dei redditi.



Non lo si afferma in modo esplicito, ma questa è la strada scelta dal Governo in carica per cercare di ridimensionare gli effetti di trascinamento dei superbonus sulla spesa pubblica. Una scelta destinata a complicare la vita dei committenti e delle imprese che si ritrovano a metà del guado. Cioè ad avere sottoscritto obblighi contrattuali, e in diversi casi eseguito anche una parte dei lavori, senza avere la possibilità di usufruire dei crediti d’imposta a suo tempo promessi per l’indisponibilità del sistema creditizio ad accettare le nuove domande.

Ma questa è solo una delle distorsioni generate dal superbonus. Tutto il provvedimento originale si configura in via di fatto come una sorta di istigazione a delinquere. La Guardia di finanza dichiara di aver accertato circa 6 miliardi di crediti di imposta ceduti in assenza del corrispettivo dei lavori eseguiti. Ma le truffe di massa, e più difficili da accertare, sono quelle legittimate dal dispositivo legislativo. La possibilità di mettere a carico dello Stato una cifra superiore all’intero importo dei costi delle ristrutturazioni, e per valori massimi più elevati rispetto ai 96 mila euro previsti dalle precedenti detrazioni fiscali, ha fatto venir meno il meccanismo virtuoso e calmieratore dei prezzi generato dal conflitto di interessi tra i committenti e i fornitori, rimanendo a carico del primi una quota degli oneri delle ristrutturazioni, e indotto entrambi i soggetti ad aumentare la quantità delle opere da eseguire, anche quelle tecnicamente non necessarie, nell’ambito dei capitolati.



Queste aspettative hanno favorito la formazione di una bolla speculativa sui costi dei materiali da costruzione, e un accumulo di ritardi dovuti alla carenza di materiali e di mezzi (esemplare la triplicazione dei prezzi dei ponteggi). All’inflazione originata dall’eccesso della domanda di materiali e prestazioni si è aggiunta successivamente quella indotta dai costi dell’energia generando nel settore delle costruzioni una sorta di tempesta perfetta. 

Gli aumenti dei prezzi dei materiali e delle prestazioni, i costi delle intermediazioni bancarie e quelli delle certificazioni obbligatorie dei professionisti hanno praticamente ridotto del 30-40% i vantaggi potenziali dei superbonus per i committenti allineandoli di fatto ai valori dei precedenti incentivi (detrazioni del 50%-65% dei costi sostenuti). La bolla speculativa ha favorito la crescita di imprese improvvisate, prive di mezzi e di risorse umane adeguate, con effetti negativi sulla sicurezza dei cantieri e sulla qualità delle opere eseguite.

L’esito finale di questo capolavoro politico è stato quello di ridimensionare anche l’efficacia dei risultati ottenuti per il risparmio energetico e per la sicurezza antisismica, in rapporto al capitale pubblico investito, rispetto a quelli ottenuti con le precedenti detrazioni: oltre 70 miliardi di euro prenotati per migliorare meno dell’1% del patrimonio abitativo nazionale.

La recente valutazione della Corte dei Conti sugli esiti del superbonus appesantisce il giudizio negativo evidenziando l’iniquità del trasferimento di ingenti risorse a favore di una parte ridotta della popolazione e le carenze delle misure di controllo adottate dall’amministrazione.

Tra tutti gli interventi messi in campo dai Governi di matrice populista, nel caso specifico con la partecipazione attiva ed entusiasta del Partito democratico, il supebonus per le ristrutturazioni edilizie merita il gradino più alto del podio. La cifra autentica del livello di irresponsabilità raggiunto dalla classe dirigente italiana. Purtroppo una delle caratteristiche di questi provvedimenti è la capacità di autogenerarsi sull’onda dei propri fallimenti. Per la stragrande parte delle forze politiche presenti in Parlamento il problema principale è diventato quello di aiutare i committenti e le imprese in difficoltà per l’effetto dell’impossibilità di cedere il credito d’imposta ripristinando le regole precedenti. Cogliendo nel contempo l’occasione per allungare i tempi di vigenza del superbonus.

In tal senso muove un emendamento al decreto aiuti nella fase di conversione in legge da parte del Parlamento, promosso dalla stragrande maggioranza delle forze politiche, che per il momento ha riscontrato il parere contrario del Governo e della Ragioneria Generale dello Stato.

Con tutta probabilità sarà trovato un compromesso riguardo la possibilità di ampliare la cessione ulteriore dei crediti d’imposta per offrire una via di uscita ai committenti e alle imprese rimaste in mezzo al guado, ma la scelta migliore sarebbe quella di mettere la parola fine alla vicenda del superbonus, offrendo un quadro di agevolazioni certe, ragionevoli e sostenibili nel lungo periodo, per le ristrutturazioni orientate a migliorare il risparmio energetico e la sicurezza delle abitazioni.

In un Paese in pieno declino demografico, e dotato di un abbondante e sottoutilizzato patrimonio edilizio, lo sgonfiamento della bolla speculativa può generare effetti depressivi che sarebbe utile prevenire. 

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