L’allarme sta tutto in un numero: 2,6 miliardi di euro. A tanto ammontano gli sconti legati al superbonus del 110% riconosciuti ma non monetizzati. In pratica, un’impresa esegue i lavori di ristrutturazione, non incassa il pagamento ma incamera un credito fiscale, che, una volta richiesto alla banca, non viene trasformato in liquidità.



Una situazione che, secondo una recente indagine della Cna presso circa 2mila imprese che rappresentano un campione altamente rappresentativo dei comparti dell’edilizia, delle costruzioni e dei serramenti, rischia di far fallire 33mila imprese artigiane e di bloccare i cantieri con la possibile perdita di 150mila posti di lavoro nella filiera delle costruzioni.



Il problema è legato al fatto che oltre 60mila imprese artigiane si trovano con il cassetto fiscale pieno di crediti ma senza liquidità, il che rende impossibile onorare i pagamenti: il 45,9% del campione non ha pagato i propri fornitori, il 30,6% non sta pagando tasse e imposte, il 21,1% non riesce a pagare salari e collaboratori. Come si è arrivati a questo punto? Cosa succederà ai cantieri e alle imprese di costruzioni? E soprattutto, come si può disinnescare questa bomba economica e sociale? Ne abbiamo parlato con Gabriele Buia, presidente dell’Ance (Associazione nazionale costruttori edili).



Come si è arrivati a questo blocco della cessione dei crediti? Dove si è inceppato il meccanismo?

E’ una situazione paradossale, perché effettivamente i meccanismi sono stati più volte interrotti e ripresi: il superbonus 110% ha subìto 14 interventi modificatori e si è bloccato ben 6 volte. E si è passati dal tutto possibile a una forte limitazione del parco soggetti abilitati a ritirare i crediti.

Come hanno reagito le imprese a questo ridimensionamento?

Alla luce di queste riduzioni e trasformazioni delle condizioni di mercato le imprese hanno cercato di adattarsi.

Per esempio?

Le aziende che avevano iniziato un percorso di cessione del credito con un determinato soggetto finanziario si sono all’improvviso trovate senza un interlocutore e hanno cercato di spostare i crediti residui in altri istituti bancari, che però hanno detto di no, perché contrari a questa promiscuità. Quindi adesso non sanno dove andare a scontare questi crediti.

Poi c’è stato il decreto Frodi che ha previsto la possibilità dopo lo sconto o la prima cessione effettuata dal contribuente, di ulteriori 2 cessioni ma solo in favore di determinati soggetti.

E anche questo decreto ha ridotto ulteriormente il bacino, perché le banche possono sì cedere i crediti anche in prima cessione, ma solo a operatori con un importante giro d’affari. Questo ha fatto sì che, da un lato, le banche si trovassero nella necessità di capire a chi cedere quei crediti già incamerati per poter poi riaprire di nuovo i battenti e, dall’altro, poiché il mercato è ancora in forte fermento, le imprese si sono riversate in massa proprio sulle banche per le richieste di ritiro dello sconto in fattura. Il combinato disposto di tutto questo ha creato un effetto collo di bottiglia che fa da tappo. Le banche continuano a ritirare i crediti per gli accordi già in essere, ma tutte le altre realtà che continuano a prendere lavori hanno oggi delle difficoltà.

Che problemi sta creando questo tappo alle vostre aziende?

Problemi pesantissimi. Le imprese si trovano ad aver fatto i lavori, ma non potendo cedere gli sconti in fattura sono senza liquidità, non possono pagare i fornitori. Ed è un grosso problema di filiera.

Sono tante le aziende in difficoltà?

Sono tantissime, perché il mercato – anarchico e non regolamentato – si è gonfiato a dismisura, con una evidente sproporzione fra domanda e offerta, e c’è una montagna di crediti che deve essere ceduta.

Si rischia il blocco di lavori già iniziati?

Assolutamente sì: senza liquidità i cantieri si bloccano o non partono. E resteranno al palo finché non avranno la certezza che il loro credito verrà ritirato.

Ma a quel punto non si creerà una lunga scia di contenziosi con i condomìni? 

Senza dubbio. È la conseguenza naturale di questo ingorgo, perché non sarà più possibile rispettare i patti contrattuali.

In pochi mesi ci sono state ben sei modifiche al meccanismo della cessione dei crediti. Vi siete fatti un’idea sul perché?

All’inizio, c’erano due percorsi: il superbonus, uno strumento da strutturare e definire, ma che aveva regole e responsabilità, specie sulla congruità e sull’asseverazione dei lavori, ben definite, e poi un altro più anarchico, quello del bonus facciate, che non aveva neppure un prezziario unico, tanto che le opere venivano quantificate a sentimento, cosa del tutto inconcepibile. E qui si sono consumate quelle frodi che hanno portato appunto alle limitazioni che poi sono state introdotte. Era doveroso, come fatto con il decreto Frodi, che il governo entrasse a gamba tesa, ma il meccanismo in sé non è condannabile.

Come si può uscire da questa situazione? Cosa chiedono le imprese?

Innanzitutto, la possibilità, per dare maggiore serbatoio di crediti agli istituti bancari e rispondere meglio alle necessità attuali del mercato, di allungare il periodo in cui i crediti vanno ritirati senza perdere i diritti: oggi è di 4 anni, andrebbe portato a 6 o 7. In secondo luogo, come già approvato con il decreto Ucraina, la necessità di portare avanti con convinzione la qualificazione delle imprese, per poter avere un mercato in cui operano aziende che abbiano un rapporto congruo tra organizzazione dell’impresa ed entità delle opere, perché società senza dipendenti non possono accaparrarsi lavori da centinaia di migliaia, se non milioni, di euro, visto che non sono in grado di gestirli. In tal modo, sarebbe ancor più garantita la sicurezza dei cantieri richiesta dalle norme in vigore.

Il governo Draghi ha più volte manifestato le sue riserve sul meccanismo del superbonus 110%. Sta mettendo sempre più paletti perché ha forse intenzione di far finire questa agevolazione edilizia su un binario morto pima della sua scadenza nel 2023?

Ritengo che il superbonus sia un meccanismo importante per la crescita del settore delle costruzioni e a beneficio del bene primario degli italiani, che è la casa, perché così le abitazioni si rivalutano grazie anche all’efficientamento energetico. E’ altrettanto chiaro che il superbonus rappresenta una spesa importante per lo Stato ed è più che comprensibile, alla luce delle frodi denunciate, che ci sia lungimiranza e attenzione nell’utilizzare le risorse pubbliche. Ecco perché il combinato disposto fra qualificazione delle imprese, norme più stringenti, allungamento dei tempi per evitare colli di bottiglia che distorcono il mercato e una rivisitazione strutturale del beneficio ancorato all’obiettivo della massima efficienza ambientale di una casa rispetto ad altri bonus generici possano indurre il governo a non avere più ritrosie sul superbonus.

(Marco Biscella)

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