Il sistema delle relazioni internazionali che sta nascendo dal conflitto in atto in Ucraina sembra ricordare a molti la riedizione della “globalizzazione dimezzata” nata dopo la Seconda guerra mondiale. Un mondo diviso in due blocchi contrapposti guidati da due superpotenze che si fronteggiavano in modo più o meno minaccioso. Oggi come allora sembrerebbe che si stiano formando due aree di influenza guidate da valori e ordinamenti diversi: Occidente e Oriente, democrazie e autarchie, superiorità tecnologica ed esportatori di materie prime, G7 contro Paesi Brics.
Purtroppo, però, la realtà con cui dobbiamo fare i conti è molto più complicata di quella che può descrivere una schematica contrapposizione.
L’incontro a Pechino fra il presidente brasiliano Lula e Xi Jinping, che hanno discusso apertamente di “una nuova governance globale” con cui avviare un processo che porti a una compiuta de-dollarizzazione, e il recentissimo meeting tenuto in Giappone nella località termale di Karuizawa fra i ministri degli Esteri dei Paesi del G7, sembrano due facce del processo che dovrebbe portare a due sistemi di alleanze politiche, economiche e militari contrapposte.
In realtà la transizione che dovrebbe condurci a questo tipo di riconfigurazione si prefigura lunga, caotica e dagli esiti imprevedibili. Il precedente storico della contrapposizione fra paesi a guida Usa e Urss non è in grado di descrivere una realtà del tutto nuova e contraddistinta da una radicale incertezza. Il mondo del secondo dopoguerra si caratterizzava per un equilibrio garantito dalla dissuasione nucleare e dalla “Golden Age”, una fase di sviluppo economico senza precedenti nella storia dell’umanità. Inoltre, a sfidarsi erano due sistemi valoriali opposti con visioni-del-mondo differenti. Niente di più lontano dalla nostra contemporaneità, in cui ad affrontarsi sono due tipi di capitalismo che si contendono la leadership globale.
La competizione globale fra capitalismo di mercato a trazione finanziaria anglo-americano e quello tecnocratico di stampo cinese – di cui quello russo è sostanzialmente una variante meno efficiente –, per ancora molto tempo è destinata a produrre instabilità e repentini cambiamenti di schieramento. La dichiarazione di Macron, che rappresentava un chiaro riferimento a Taiwan, circa la volontà di non farsi prendere da crisi che non riguardano direttamente l’ interesse nazionale francese, per quanto controversa ha avuto il merito di disvelare la dimensione magmatica della transizione che stiamo vivendo, in cui per i diversi attori del sistema delle relazioni internazionali è molto forte la tentazione di giocare in proprio.
Anche per questo motivo a Karuizawa sembra essere andato in scena un specie di “serrare le fila” dei paesi del G7. Le parole dell’Alto Rappresentante dell’Ue Josep Borrell circa l’importanza che riveste la questione di Taiwan per l’Unione Europea e l’aver descritto la Cina un “partner, concorrente e rivale sistemico” puntano a trovare una strategia comune e condivisa da adottare per contenere Pechino, ma non possono escludere la possibilità che la competizione nel Sudest asiatico porti potenze regionali a seguire in piena autonomia una propria agenda. Il Giappone, ad esempio, sembra essere un enigma difficile da decifrare.
In definitiva, la creazione di due blocchi contrapposti dovrebbe essere il passo preliminare per una nuova forma di equilibrio geopolitico e di stabilità finanziaria ed economica. Peccato, però, che ci siano volute due guerre mondiali per creare il sistema delle relazioni internazionali che ha funzionato dal ’45 fino all’inizio degli anni novanta. Parliamo di un punto di arrivo, non di un inizio. Il sistema capitalistico dal XVI secolo fino all’inizio del XXI ha prodotto una sequenza di egemonie – olandese, inglese e americana – basate su un centro indiscusso e su una sola potenza; a fronte di questa sequenza storica, un dominio bipolare sino-americano risulterebbe un caso senza precedenti per la storia mondiale e un caso francamente poco probabile.
Il raggiungimento di un nuovo ordine globale è quindi una questione complessa e che richiede tempo. Un passo verso questa nuova fase potrebbe scaturire dall’imposizione della pace a Ucraina e Russia, cosa che porrebbe americani o cinesi in una posizione di vantaggio strategico sul proprio competitore nella formazione di un nuovo ordine mondiale. Purtroppo, al momento, risulta improbabile che la fine del conflitto sia indipendente della dinamica dei rapporti di forza e quindi dall’inizio del redde rationem per Taiwan. A riguardo, conviene ricordare che la storia ci insegna che la guerra è servita per ridurre la complessità di un sistema e per riportare ordine nell’anarchia delle relazioni internazionali. Una tentazione che la diplomazia fatta a colpi di dichiarazioni di intenti e slogan non sembra essere in grado di allontanare.
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