Esattamente un mese fa i trentini sono andati a votare e hanno confermato la loro scelta di campo per il centrodestra.

Per la seconda volta a capo della Provincia Autonoma siederà Maurizio Fugatti della Lega.

Dopo una primavera-estate di grande fibrillazione con l’eterna lite tra Fratelli d’Italia e Lega sul candidato presidente, risolta a fine luglio con un accordo romano (che oltre a confermare Fugatti candidato presidente, prevedeva la vicepresidenza a FdI), e una campagna elettorale parallela dove soprattutto FdI ha fatto storia a sé in forte competizione interna alla coalizione, Fugatti ha oggettivamente vinto su tutta la linea.



Ha aumentato i consensi di 5 punti (dal 46 a quasi il 51%) distanziando di quasi 15 punti il centrosinistra e il suo candidato presidente Guglielmo Valduga, facendo una campagna elettorale all’insegna del pragmatismo, senza urlare, anzi quasi in modo dimesso, disdegnando gli appuntamenti ufficiali e i confronti tra i candidati, e privilegiando il contatto diretto con la gente, nei centri e nelle vallate trentine.



Non solo. Fugatti ha vinto anche la competizione interna rispetto a FdI, che nei sondaggi era dato molto forte (vicini al 20% con 8 se non 10 consiglieri) e che invece è risultato, anche se di poco, inferiore alla Lega con 5 consiglieri, tenendo conto che la Lega ha ottenuto 5 consiglieri e la Lista Fugatti Presidente ne ha ottenuti 4. Ha vinto infine nella conferma di tutti componenti della Giunta precedente, nuovamente rieletti consiglieri.

Ma i rancori non sopiti, le divisioni marcate, il sospetto reciproco, sembrano ora, ad un mese dalle elezioni, prendere il sopravvento: Fugatti ha nominato una giunta nei tempi di legge con 2 assessori su 7 di FdI, senza accordo preventivo con i vertici di FdI, che non si sono certo distinti per volontà di confronto preventivo, ma solo per ultimatum poco edificanti. Per tutta risposta i vertici locali e nazionali del partito di Giorgia Meloni si sono dissociati subito dopo la nomina della giunta –  anche se i due nominati le dimissioni non le hanno date –, hanno minacciato l’uscita dall’organo esecutivo e l’appoggio esterno.



Ora, da quanto si capisce, senza particolare dialogo né particolari volontà di confronto, si sta assistendo ad un teatrino che vede al primo posto l’esplodere delle attese individuali, poi quelle di parte, in seguito forse quelle di coalizione, ma di interesse generale si parla ben poco. E ciò provoca rigidità che sembrano per ora invalicabili, con scarse, se non nulle, capacità di mediazione degli interessi: altro che “politica come arte del compromesso”.

Venerdì ci sarà la prima seduta del consiglio provinciale ed è probabile che, al di là del giuramento degli eletti, e forse delle dimissioni di una consigliera della Lega che dovrebbe poi entrare in giunta come assessore esterno (anche su questa scelta i commenti si sprecano), poco altro accada. C’è solo da sperare che gli interessi personali non oscurino la possibilità di perseguire quelli generali di tutta la comunità trentina.

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