Tunisi si avvicina a grandi passi alla bancarotta. E rischia di passare sotto l’influenza di Russia e Cina. I finanziamenti dell’Fmi, subordinati a una serie di condizioni, non arrivano, l’Europa non riesce a sviluppare un’azione incisiva, e allora Tunisi potrebbe avvicinarsi ai Paesi Brics. Per l’Italia, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova, sarebbe un vero problema: in termini migratori, ma anche perché sul territorio tunisino c’è l’impianto attraverso il quale viene trasportato il gas algerino, diventato, dopo la guerra in Ucraina, una delle più importanti alternative alle forniture russe, ora bloccate. Saied, il presidente della Tunisia, avrebbe anche comprato armi dalla Turchia, forse teme una rivolta.



La Tunisia sarebbe sull’orlo della bancarotta; secondo un sondaggio il 65% della popolazione e il 90% tra i giovani sarebbe pronto a partire. Perché si è arrivati a questa situazione?

La Tunisia non è mai riuscita a risollevarsi dalla crisi delle primavere arabe del 2011: l’inflazione è sempre aumentata, così come il tasso di disoccupazione giovanile, giunto a livelli record. Le ricadute della crisi ucraina, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento di grano, hanno aggravato la situazione. Così come la pandemia, che ha ridotto il settore turistico di cui il Paese viveva per una buona percentuale. Tant’è che Moody’s ha declassato ulteriormente il rating della Tunisia, oggi considerata ad altissimo rischio.



Quale può essere l’impatto per l’Italia in termini di flussi migratori?

Tutto questo comporterà un aumento dei flussi migratori soprattutto tra la popolazione giovanile. Il tasso di disoccupazione è uno dei più elevati del Nordafrica soprattutto nelle periferie e questo è e sarà uno dei più grossi problemi per il futuro. I migranti tunisini arrivano a migliaia sulle coste siciliane ma le prospettive sono di un aumento. Ci sono anche molti immigrati subsahariani che hanno subito una stretta da parte del presidente Saied e stanno cercando di fuggire. Se non arriveranno prestiti dall’esterno la Tunisia continuerà ad attingere alle proprie riserve valutarie e il default è sempre più vicino.



La commissaria europea Johansson si è recata in Tunisia cambiando i programmi di una visita della quale dovevano far parte anche rappresentanti di Italia, Francia e Germania. Cosa deve fare l’Europa per aiutare la Tunisia? Sta perdendo l’ennesima occasione per avere un ruolo nel Mediterraneo?

L’errore più grande che può fare l’Unione Europea, il baratro verso cui si sta dirigendo, è quello di tagliare i fondi, i finanziamenti che aveva previsto per la Tunisia. Sa benissimo che le conseguenze, anche in termini di flussi migratori, si riverserebbero ancora sull’Italia. Continua a ragionare come un’entità astratta, come è successo nel caso libico. È l’ennesima follia che testimonia l’egoismo di alcuni Paesi e lo scaricabarile che da sempre l’Europa fa sull’Italia. La Ue aveva garantito un supporto finanziario alla Tunisia, soprattutto di perorare la sua causa presso il Fondo monetario internazionale, che avrebbe dovuto dare quasi 2 miliardi di dollari. E, invece, come al solito, si è tirata indietro, lasciando di nuovo la patata bollente all’Italia, lasciandola con flussi migratori crescenti.

Per l’Italia la Tunisia potrebbe essere un partner importante dal punto di vista economico?

Bisognerebbe puntare sul progetto di interconnessione elettrica tra Italia e Tunisia per il quale Bruxelles ha già approvato un finanziamento di 300 milioni di euro. Potrebbe diventare un hub energetico per Italia, Tunisia e anche l’Europa. Lo scorso anno l’Italia è diventata il primo partner commerciale della Tunisia. Prima era la Francia. E siamo anche un importante hub manifatturiero: nel Paese nordafricano abbiamo mille imprese che lavorano in questo settore. Un aspetto che andrebbe valorizzato, anche attraverso investimenti, per far diventare l’Italia una sorta di ponte nei confronti di un Paese nevralgico.

Gli aiuti del Fmi sono condizionati dalla richiesta di riforme che Tunisi non è in grado o non vuole accettare. È giusto subordinare l’intervento a queste richieste o è meglio una politica più pragmatica che metta in sicurezza la situazione almeno dal punto di vista economico?

Le riforme che l’Fmi ha imposto a Tunisi sono difficili da realizzare perché richiedono una diminuzione dei sussidi statali e una riduzione degli stipendi, tutte possibili cause di rivolte popolari. Che andrebbero ad aggiungersi a una situazione già difficile, perché recentemente è stato arrestato Rachid Ghannouchi, il presidente di Ennahda, il principale partito di opposizione islamista, e questo potrebbe esacerbare gli animi di molti suoi fedelissimi, appartenenti ai Fratelli musulmani, ma anche a frange più estremiste causando disordini all’interno del Paese. Tutto questo potrebbe essere fermato se vi fossero finanziamenti che potrebbero venire, come suggerito dal nostro ministro degli Esteri Tajani, attraverso tranches da 300 milioni di euro l’una monitorate e controllate anche dall’Europa.

Il presidente tunisino Saied ha accentrato i poteri e il Paese sta conoscendo una deriva autoritaria: resta un interlocutore credibile? Il suo governo controlla ancora la situazione o c’è il rischio di una protesta interna che lo faccia cadere?

Nonostante la sua stretta autoritaria e l’arresto di alcuni esponenti politici può essere considerato un interlocutore, visto che gode ancora di un grande consenso popolare. Pragmaticamente parlando credo che sia più utile sostenerlo che far crollare la Tunisia, a maggior ragione in un momento in cui l’arresto di Ghannouchi potrebbe portare in piazza i suoi sostenitori e le frange più estremiste, come i salafiti, pronte a mettere a ferro e fuoco il Paese. Saied, tra l’altro, nel 2021 ha ordinato dalla Turchia 150 milioni di euro di armamenti e forse altre armi potrebbero arrivare nel Paese. Mi pongo una domanda: ci potrebbero essere rivolte a cui si sta preparando a rispondere?

Senza gli aiuti di Europa e Fmi quali scenari si aprono? Chi potrebbe dare una mano alla Tunisia portandola nella sua sfera di interesse?

La Tunisia, un po’ come è successo all’Algeria, potrebbe avvicinarsi ai Brics, in particolare alla Russia e alla Cina, in termini geopolitici grandi concorrenti della Nato. L’avvicinamento ai Brics sarebbe un passaggio importante, visto anche gli interessi che l’Italia e altri Paesi europei hanno con la Tunisia. Nel Paese passa anche il Transmed o gasdotto Enrico Mattei che porta il gas algerino in Italia, sarebbe un errore enorme abbandonare la Tunisia e lasciarla avvicinare a Paesi di certo non in linea con la Nato. C’è da dire anche che Saied è un ottimo giocatori di scacchi, e sta muovendo tutte le pedine per ottenere ciò che vuole, dando in cambio il meno possibile. La mossa di un eventuale avvicinamento ai Brics fa parte della sua partita a scacchi.

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