La crisi economica è pesante. Ma in aiuto della Tunisia è arrivato il Qatar. Mentre l’Europa farebbe bene a intraprendere una politica più decisa non solo lì, ma in tutto il Nordafrica.
“Sono a due passi da noi” spiega Souad Sbai, già deputata, giornalista e attivista per i diritti delle donne. Un dossier, quello della Tunisia e dei Paesi limitrofi che meriterebbe molta più attenzione da parte europea e dell’Italia, che ha già cominciato a rafforzare i rapporti, ma dovrebbe intensificarli ai massimi livelli.
Com’è la situazione politica in Tunisia, Saied corre qualche rischio, anche in seguito alla crisi economica che il Paese sta affrontando?
La crisi economica in Tunisia è molto seria. Le ultime notizie dicono che il Qatar andrà in aiuto del Paese, ma bisognerà capire cosa vorrà in cambio, perché Doha non fa nulla per beneficenza. Ha interesse ad avere nell’area un punto di riferimento: la Tunisia ha un posto centrale nel Nordafrica. Il Qatar non è arrivato alla Libia e allora la Tunisia va benissimo per avere una colonia qatariota, contando anche sul fatto che il presidente Saied attraversa un momento di difficoltà.
Cosa lo preoccupa soprattutto?
La crisi economica è in cima all’agenda. Deve fare in fretta, perché il popolo non vede ancora risultati e gliene sta chiedendo conto. A livello politico, le elezioni sono state un disastro, a votare ci sono andati in pochissimi. Saied ha bloccato l’avanzata di Ennahda (il partito islamista) e ne sta pagando le conseguenze: quando si toccano i Fratelli musulmani, si rischia di essere marginalizzati, specie dall’Europa.
L’Europa invece cosa potrebbe fare?
L’Europa in Nordafrica non ha un vero peso politico, pertanto dovrebbe rafforzare le relazioni con i Paesi della regione in una prospettiva futura, specie con Marocco e Tunisia, aperti al dialogo e alla cooperazione.
L’Italia da questo punto di vista potrebbe giocare un ruolo importante?
Un ruolo importantissimo. Siamo nel Mediterraneo, ce li abbiamo di fronte, noi siamo quelli più vicini a quel mondo. Per l’Italia sarebbe interessante avere voce in capitolo in tutto il territorio nordafricano. È il Paese più adatto a intrattenere rapporti con la Tunisia, per supportarla occorrono però mezzi maggiori.
Gli italiani sono già molto presenti in Tunisia, ci sono 900 aziende.
Tantissime, quello sì, ma bisogna fare gemellaggi, accordi, essere più presenti lì per avere contatto diretto con le problematiche locali. Gli ultimi anni con Di Maio sono stati disastrosi: non ha mai avuto rapporti con i Paesi del Nordafrica. Occorre essere esperti di geopolitica o avere persone che ne sanno e aiutano a muoversi. Parlando con diversi interlocutori dell’area, è emerso che c’è stato uno snobismo nei loro confronti. Di Maio ha guardato solo alla Via della Seta.
Ora ci sono state le visite in Tunisia di Tajani e Piantedosi.
Piantedosi è andato per la questione dei migranti, è un altro discorso. Servirebbe un’iniziativa politica ai massimi livelli: dopo essere stata in Algeria, Giorgia Meloni dovrebbe recarsi di persona in Tunisia, come in Marocco. Con questi Paesi l’Italia ha rapporti storici e possono rappresentare una sponda molto importante anche dal punto di vista economico.
Il Governo, quindi, deve fare qualcosa di più?
Hanno appena iniziato. Anche la tappa negli Emirati Arabi Uniti è importante, segno della volontà di riallacciare i rapporti con un partner fondamentale, trascurato per privilegiare le relazioni con il Qatar.
Il Qatar conta molto nel Nordafrica?
Sì, da oltre dieci anni a questa parte, in tutto il Nordafrica. Sono molto presenti. Spero sia solo una questione economica, che non implichi la promozione dell’islam radicale come accaduto in Europa, in Francia, in Belgio ma anche in Italia e in altri Paesi. Prima i Qatar Papers, ora il Qatargate, altri scandali prima o poi emergeranno. Cervelli, giornalisti, imprenditori, politici: comprano tutto quello che hanno davanti. Anche per questo non possiamo abbandonare i Paesi nordafricani. Non abbiamo i mezzi del Qatar, però dobbiamo dialogare con loro. Ci deve pensare soprattutto l’Unione Europea, mentre l’Italia dovrebbe muoversi cercando di essere il trait d’union tra la Tunisia e il Nordafrica da una parte e l’Europa dall’altra. Il Nordafrica non va snobbato, è ricco di tante risorse e può rialzarsi.
La situazione della Tunisia cosa può portare in termini di flussi migratori? Già l’anno scorso secondo i dati del Viminale erano una delle nazionalità che sbarcavano di più in Italia.
È vero, ma arrivano anche dal resto dell’Africa. Risultano numerosi tunisini ma non si sa bene l’identità, molti ne danno una invece di un’altra.
Non c’è il rischio che la situazione economica spinga la gente a lasciare il Paese?
Sicuramente, ma la situazione economica va vista più da vicino. La Tunisia non è povera, è ricca come Paese turistico. È che con il lockdown e la pandemia, come tutti, è crollata. Ci sono aziende che hanno bisogno di aiuto e l’Italia può giocare un ruolo importante anche da questo punto di vista.
Intanto Saied ha preso di mira gli immigrati subsahariani che sono in Tunisia.
Non si tratta di razzismo, ma della difesa della manodopera locale in un momento di grave crisi economica.
Non potrebbero proprio loro, le persone provenienti dalla zona subsahariana, contribuire a far crescere gli sbarchi in Italia?
No, tanto c’è il decreto flussi, più di 500mila persone che devono entrare, perciò chi vuole entrerà. Qui non è più tanto questione di fermare la gente che emigra, ma di fermare gli scafisti, i criminali.
Ma la Tunisia non è punto di partenza dei barconi destinati all’Italia?
No, passano per la Libia. Quello tunisino è un popolo che non ama tanto emigrare. Certo, quando la crisi diventa pesante, chiunque lascia il Paese, anche i giovani italiani negli ultimi anni sono partiti verso altri Paesi europei.
C’è il rischio di una destabilizzazione del Paese?
Non credo possibile un golpe dei Fratelli musulmani, non nell’immediato almeno. Malgrado le difficoltà, Saied ha la situazione sotto controllo. Potranno esserci delle manifestazioni, come ce ne sono già. Questo è indice di un sistema che resta aperto alla democrazia e al pluralismo o per lo meno me lo auguro.
(Paolo Rossetti)
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