La crisi economica turca, che dura da tempo, sta arrivando al limite. Il crollo della lira turca ha toccato i minimi storici, visto che da inizio anno ha perso il 30% del suo valore, mentre il dollaro ha guadagnato il 43,07% sulla valuta nazionale. Allo stesso tempo l’inflazione sui prodotti di consumo è aumentata all’11,89%. Un quadro che ha le sue radici addirittura nella crisi economica mondiale del 2008, quando le banche turche, come nel resto del mondo, ottennero crediti vantaggiosi dalla Fed in dollari, concedendo però prestiti alle aziende e ai singoli cittadini in valuta locale. Con il crollo della lira turca è diventato estremamente difficile ripagare i debiti, dal momento che servono sempre più lire per comprare dollari, innescando il rischio di una crisi bancaria a tutti gli effetti. In questo quadro lo scorso weekend, per la quarta volta in due anni, Erdogan ha rimosso il governatore della Banca centrale, Murat Uysal, e lo ha sostituito con l’ex ministro delle Finanze, Naci Agbal. Allo stesso tempo il ministro delle Finanze, Berat Albayrak, genero di Erdogan, si è dimesso, ufficialmente per “ragioni di salute”. “Non è una mossa che faccia pensare a un tentativo di mettere autentici esperti di economia in quei ruoli chiave” osserva in questa intervista Rony Hamaui, professore di Economia dei mercati e degli intermediari finanziari all’Università Cattolica ed esperto di finanza islamica. “È più che altro una mossa dettata dalla disperazione, essendo Erdogan un animale politico e non economico che non tollera personalità che possano interferire con le sue decisioni”.



Come giudica questo cambiamento ai vertici della Banca centrale e del ministero delle Finanze turchi?

Non è una novità, è il quarto governatore nello spazio di un paio di anni che viene fatto fuori. Come ogni autocrate che si rispetti, Erdogan non sopporta alcun organismo indipendente, inclusa la Banca centrale, che possa interferire con le sue decisioni.



Però la Turchia sta sprofondando in una crisi gravissima, forse il licenziamento del genero significa un modo per uscire da certi personalismi tipici delle dittature per affidarsi ad autentici esperti?

La situazione è molto complicata, la lira turca continua a svalutarsi moltissimo, rischiando di innescare una spirale inflazione/svalutazione che non porta alcun beneficio economico, come invece Erdogan vorrebbe e sostiene. Tante aziende si trovano indebitate in valuta estera e questo comporta l’ingresso in un circolo vizioso. Il cambiamento effettuato lo giudicherei più un atto di disperazione che di razionalità. Essendo un animale politico e non economico, Erdogan ragiona in termini politici. In una situazione pandemica, dove le entrate legate al turismo si sono azzerate, dove la domanda mondiale è scarsa e il debito diventa problematico, è evidente che Erdogan si senta in grossa difficoltà. 



Con l’elezione di Biden potrebbe esserci un cambiamento nelle relazioni tra Usa e Turchia?

Non sappiamo ancora cosa voglia fare Biden, ma certamente mentre Trump aveva tollerato il presidente turco, il nuovo presidente sarà molto meno disposto a tollerare Erdogan, cosa che lo mette ancor più in difficoltà.

La crisi economica turca è dovuta soprattutto a una gestione autoritaria che non segue i dettami della scienza economica o ci sono motivi particolari?

Erdogan ha speso un sacco di soldi in modo avventato per le sue campagne militari, per gli aiuti a tutte le organizzazioni islamiste, nella campagna in Siria, in Libia, a favore dei palestinesi, contro la Grecia. Spese che si mischiano a errori economici, ottenendo un costo politico oltre che economico.

Molti commentatori sostengono che la politica militare è frutto del tentativo di distrarre il popolo turco dai problemi economici interni. È così?

Questo è sicuramente vero, ma è valido in una situazione contingente diversa. Oggi in una crisi pandemica e recessiva mondiale, è una coperta corta tirata da tutte le parti. In una situazione normale poteva funzionare, in questa congiuntura mondiale diventa molto più complicato.

Il ministro degli Esteri francese ha detto che se la Turchia non smetterà la sua politica espansionistica nel Mediterraneo orientale ci saranno sanzioni europee. Pensa che potrebbero ottenere il risultato di mettere in crisi una volta per tutte il regime di Erdogan?

Sanzioni esclusivamente europee non avrebbero senso, ma se si ricreasse l’asse Usa-Ue allora le sanzioni avrebbero molto più peso. Se l’Europa riesce a trascinare gli Usa in una linea strategica comune contro Erdogan, cosa che Trump non voleva fare, allora sì, le sanzioni avrebbero un peso. Non sono state prese per l’isolamento in cui l’Europa ha vissuto in questi 4 anni. Con Biden il contesto geopolitico in Europa è destinato a cambiare radicalmente, portando a uno scenario, economico e geopolitico, che rende la posizione di Erdogan molto più instabile.

Su chi può contare oggi la Turchia? Per esempio la Russia, con la quale ha stretto molti accordi?

C’è anche la Cina che ha interessi molto pragmatici con Ankara, però non credo che né Cina né Russia siano sufficienti a salvare Erdogan, anche perché la Cina, in questo frangente storico, deve muoversi in maniera molto attenta.

(Paolo Vites)