La situazione nel Donbass, la regione orientale della Ucraina sconvolta da un sanguinoso conflitto che dura ormai da quasi sette anni, si è recentemente aggravata fino a far temere lo scoppio di una guerra tra Ucraina e Russia. Negli ultimi tempi si è notato un concentramento di forze russe al confine con l’Ucraina che Mosca ha definito essere solo difensivo di fronte a un aumento di ostilità da parte degli Stati Uniti. Non vi è dubbio che la definizione di Vladimir Putin come “un assassino”, data da Joe Biden in una ormai famosa intervista, abbia fornito alla Russia una buona giustificazione.
Il Presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha risposto chiedendo alla Nato di accelerare le trattative per l’entrata dell’Ucraina nell’Organizzazione. Il Segretario della Nato, Jens Stoltenberg, ha assicurato a Zelensky il sostegno dell’Alleanza per la sua integrità territoriale, con riferimento non solo al Donbass ma anche alla Crimea annessa dalla Russia. Assicurazioni in tal senso sono arrivate anche da Boris Johnson e dall’Unione Europea. Tuttavia, sia in sede Nato che dalla presidenza americana, si è invitata l’Ucraina a procedere rapidamente nelle riforme più volte richieste, anche dal Fondo monetario internazionale, essenziali per la fragile economia ucraina e per la stessa associazione alla Nato.
Ritorna quindi in primo piano la complessa situazione interna dell’Ucraina e il progressivo indebolimento di Zelensky, da diversi commentatori considerato il motivo del suo irrigidimento nei confronti di Mosca. La battaglia contro la diffusa corruzione e lo strapotere degli oligarchi, come prevedibile, si è rivelata estremamente difficoltosa per Zelensky. Per di più, la sua iniziale politica di tentato accordo con Mosca gli ha procurato gli attacchi dei nazionalisti ucraini, da qui il suo attuale atteggiamento molto più antagonista verso la Russia, nella politica sia interna che estera.
Per una valutazione oggettiva della situazione è utile riandare allo sviluppo dei rapporti tra la Nato e la Russia. Con il dissolvimento dell’Unione Sovietica l’Alleanza si trovò privata della ragione stessa per cui era stata costituita e si diede perciò un nuovo avversario da combattere: il terrorismo internazionale. La Russia venne in qualche modo associata, nel 2002 a Roma, attraverso il Nato-Russia Council (Nrc), che sostituiva un precedente simile accordo del 1997. I rapporti si sono tuttavia deteriorati negli anni successivi, prima a seguito della guerra tra Russia e Georgia e poi per la questione ucraina. I rapporti sono diventati sempre più tesi con l’inizio delle discussioni per l’entrata nell’Alleanza della Georgia e dell’Ucraina, una estensione che viene vista da Mosca come un tentativo ostile di accerchiamento da parte della Nato.
Il rischio di uno scontro armato diretto tra Ucraina e Russia potrebbe essere quindi non così lontano, anche se ha probabilmente ragione chi sostiene che una guerra non sarebbe utile né a Kyev, né a Mosca. È questa la tesi di un articolo apparso su Carnegie Moscow Center a firma Maxim Samorukov, dove si evidenzia l’impossibilità per l’Ucraina di reggere il confronto con la Russia e si sottolinea come l’intervento dell’Occidente sia lungi dall’essere scontato. Dall’altra parte, per il Cremlino l’avventura sarebbe rischiosa sul fronte interno, dove sta aumentando l’insofferenza dei russi per le continue “avventure” all’estero di Putin. Tanto più in vista delle prossime elezioni di settembre.
Questa analisi, tuttavia, non cancella i rischi: come sottolinea Samorukov, non può essere escluso un incidente nella zona contesa che potrebbe dar luogo a una pericolosissima escalation. Sarebbe bene che a Washington e a Mosca ne tenessero conto, abbassando i toni del confronto.
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