In un intreccio potente di informazione e disinformazione, a forza di evocare la decisione “già presa” di Putin di invadere l’Ucraina, lo spazio si è esaurito e l’iniziativa del Cremlino, secondo le informazioni diffuse dall’amministrazione americana e dai principali media come Cnn e Cbs, è diventata “realtà”: i generali russi avrebbero dato gli ordini e l’invasione starebbe già avvenendo. Tuttavia Mosca nega e la diplomazia lavora senza sosta nel tentativo di trovare una soluzione.
Sotto il profilo militare una delle novità più salienti riguarda il fatto che le truppe russe rimarranno in Bielorussia anche dopo la fine delle esercitazioni congiunte. L’altro fronte è quello delle due repubbliche autonome di Donetsk e Luhansk nel Donbass, dove gli eventi non sono affatto a senso unico e appaiono di difficile decifrazione. La fuga dei civili con passaporto russo verso Rostov (61mila, secondo il ministro russo per le Emergenze, Alexander Chupriyan) è causata dagli attacchi e dalle bombe ucraine denunciate dalla Tass? Oppure si tratta di una operazione-pretesto messa in atto da Mosca, come dichiarano gli Usa e la Nato?
“Ci stiamo avvicinando al momento della verità di questa crisi” spiega Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia e direttore della rivista GeoTrade. “E la cortina fumogena attorno ai singoli episodi si fa più intensa”.
Cosa pensa di quanto sta accadendo nel settore orientale dell’Ucraina?
Nell’attuale sistema di informazione e disinformazione penso che le singole notizie di dubbia verificabilità perdano di significato, tranne per la propaganda. L’Osce registra negli ultimi mesi centinaia di violazioni del cessate il fuoco, divenute migliaia negli ultimi giorni.
L’evacuazione di civili russi dal Donbass?
Mi sembra una misura probabilmente ingigantita rispetto alla magnitudine delle violazioni in corso, e potrebbe essere programmata o preventiva. Certo, se pensiamo che gli Usa hanno evacuato i diplomatici da Kiev e le ambasciate europee invitato i connazionali ad abbandonare il Paese, possiamo dire che il ricorso all’evacuazione è ormai divenuto anche un modo per accusare l’altra parte.
Le sottopongo due informazioni di rilievo circolanti in queste ore. Secondo un’analisi del sito Bellingcat, riferita da Repubblica, i video dei leader filorussi che ordinano l’evacuazione verso Rostov erano preregistrati. Nel frattempo, altre fonti parlano di bombe ucraine sui filorussi. Dobbiamo credere al fact-checking?
Onestamente, il fact-checking non è un terreno che mi entusiasma. Ripeto, scendere nei microfatti, o addirittura nei metadati dei singoli fatti, è un modo di confondere e di perdere il senso più ampio di quello che sta avvenendo e della posta in gioco.
Putin ha deciso l’invasione, ha detto Biden venerdì scorso. Mentre la vicepresidente Harris, alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, ha parlato di “Europa sull’orlo della guerra”. Qual è lo scopo di queste dichiarazioni americane?
Secondo me gli Usa credono veramente che la Russia sia sul punto di avviare un’invasione dell’Ucraina o un’occupazione di parte di essa. E con un crisi di questa portata in corso aperta da Mosca è anche verosimile, soprattutto se lo scenario è quello di una limitata occupazione del Donbass. Quello che però conta e che, io credo, dà senso alle loro affermazioni è che essi non intendono contrastare l’invasione dell’Ucraina, che ritengono essere sostanzialmente un problema di sicurezza degli europei. Gli americani non appaiono neanche disposti a trattare con i russi o a far loro concessioni per evitare l’invasione, e si riserveranno solo di decidere con quanta forza economica reagire.
Quindi?
Questo combinato disposto mette in difficoltà Mosca. Il paradosso della situazione è che la minaccia dell’uso della forza russa è contro l’Europa, ma l’interlocutore a cui Mosca rivolge i suoi ultimatum per rinegoziare la situazione di sicurezza in Europa sono gli Usa. Una situazione strategica piuttosto paradossale.
“Questa è un’alleanza di nazioni in cui ognuna ha le proprie priorità e le proprie preoccupazioni individuali” ha detto la vicepresidente Usa, Kamala Harris, aggiungendo: “ancora una volta non negherei all’Italia di avere la sua prospettiva o il suo elenco di preoccupazioni. Lo facciamo tutti, in realtà”. Che significa?
È un invito all’Italia ad avere un ruolo più attivo nel mondo delle sanzioni e dell’uso coercitivo della forza economica. Se non vuoi combattere e non vuoi che le sanzioni danneggino i tuoi interessi economici vitali devi essere in grado di proporre misure economiche restrittive alternative. Oppure subire quelle che gli alleati decideranno per te. E le conseguenti contro-sanzioni russe.
Qual è il suo punto di vista sulle esercitazioni russe in Transnistria?
Un altro antico frozen conflict della Guerra fredda che diviene un piccolo anello del dispositivo militare attorno all’Ucraina. Pericoloso, però, perché confinando con la Moldavia coinvolge politicamente la Romania, un Paese della Nato.
“Kiev” ha dichiarato sabato Putin “non deve far altro che sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti del Donbass e concordare i termini politici, economici, militari e umanitari di una pace che ponga fine al conflitto”. Come commenta?
Questa è la dimensione degli accordi di Minsk, a cui deve essere trovata una soluzione, ma ormai credo sia troppo tardi, almeno per la metà del Donbass, le aree sotto controllo di Donetsk e Luhansk. Sono passati troppi anni dal conflitto. A parte questo, l’ostacolo è che Kiev non può sedersi e negoziare la pace con repubbliche secessioniste non riconosciute. E se non lo ha potuto fare fino ad ora, vedo difficile che lo possa fare sotto la minaccia di un’occupazione russa. La crisi interna è ormai internazionalizzata.
Il settimanale tedesco Der Spiegel cita un documento del ’91 nel quale i rappresentanti dei ministeri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania, a Bonn il 6 marzo 1991, dichiaravano che l’ipotesi di una espansione della Nato a Est era inaccettabile. Non è quello che chiede Putin?
È una questione di interesse storico, ma non conta nulla per le vicende geopolitiche di oggi. Sono solo parole temporanee dei politici e dei diplomatici dell’epoca. Trent’anni dopo non valgono più niente. Come può essere usato il fiume Elba come concetto di confine della Nato, visto che taglia la Germania? Ma soprattutto, ricordiamo che il 6 marzo 1991 esistevano ancora l’Unione Sovietica ed il Patto di Varsavia. Qualunque cosa sia stata informalmente ed oralmente concordata con i politici del blocco comunista, quelle leadership e quei Paesi socialisti di lì a pochi mesi non ci saranno più. Nasceranno addirittura nuovi attori geopolitici, come i tre Paesi baltici, l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia.
Allora che senso dobbiamo attribuire a quelle rassicurazioni?
Ritengo che avessero uno scopo piuttosto limitato: si trattava di evitare che i sovietici facessero qualche follia nelle fasi di riunificazione tedesca, tipo mandare i carri armati a Berlino, come accadde a Budapest o a Praga. Lo so che oggi sembra impossibile, ma nella logica della Guerra fredda si pensava così. Comunque nel 1991 nulla fu messo per iscritto in un trattato. In questo Putin ha ragione a chiedere accordi scritti sulla sicurezza in Europa. Per il momento non vedo però come tali accordi possano uscire da una crisi come questa.
Che cosa è necessario fare?
Bisogna prima risolvere la crisi e poi pensare a come costruire i meccanismi di sicurezza. La volontà resta però il fattore di stabilità più forte. Anche i trattati, cosi come il diritto internazionale, possono essere denunciati o violati. Negli ultimi decenni è successo più volte.
(Federico Ferraù)
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