“Siamo davanti a uno scenario complesso, di fronte al quale bisogna studiare tanto, conoscere bene le cose e abbassare i toni per fare in modo di riportare le persone alla ragione”. Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, commenta così lo scenario che si sta delineando in relazione alla guerra in Ucraina e, più ancora, quello relativo ai rapporti futuri con la Russia. L’invito del segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ai Paesi aderenti all’Alleanza perché consentano agli ucraini di usare le armi fornite dall’Occidente contro obiettivi in Russia è un segnale di smarrimento della NATO stessa. Invece di pensare alla guerra (negando però un coinvolgimento diretto), dovrebbe prendere atto che ormai l’Ucraina sarà in parte russa e cominciare a negoziare la pace, disegnando nuove relazioni con Mosca. Il problema non riguarda solo l’Europa dell’Est, che confina con il teatro attuale della guerra, ma anche il Sud del continente: i russi hanno già una base in Siria e tra poco ne avranno una in Libia, sono già nel Mediterraneo.
Dalle colonne dell’Economist, il segretario della NATO Jens Stoltenberg ha invitato i Paesi dell’Alleanza a togliere il divieto all’utilizzo delle armi contro obiettivi in territorio russo. Se venisse assecondato, cosa cambierebbe nella guerra in Ucraina?
Il 4 maggio, in un’intervista alla Reuters, il ministro degli esteri inglese David Cameron aveva già affermato che l’Ucraina aveva il diritto di usare le armi fornite da Londra per colpire il territorio russo. Il 15 maggio, Blinken lo ha seguito a ruota dicendo che tocca agli ucraini decidere come sfruttarle, e ora arriva Stoltenberg. In merito alle sue dichiarazioni, c’è un problema: ha parlato con o senza il consenso dei Paesi membri? Il governo italiano ha preso subito le distanze, questo ci deve tranquillizzare perché almeno da noi qualcuno pensa alle ripercussioni che una decisione del genere potrebbe comportare.
Ma questa decisione non dovrebbe essere presa dalla NATO nella sua interezza?
Ogni Paese della NATO può fare con i propri armamenti quello che ritiene opportuno, ma il problema delle dichiarazioni di Stoltenberg è che, come segretario generale della NATO, può parlare a nome dell’Alleanza solo se tutti i membri sono d’accordo con questi elementi di comunicazione strategica. Questo invito ai Paesi membri non può essere seguito da una serie di smentite. Bisogna fare un po’ di ordine all’interno dell’Alleanza dal punto di vista della comunicazione, ci vuole più coordinamento.
Ma l’uso di armi per colpire i russi a casa loro potrebbe rappresentare una svolta nella guerra?
La situazione sul campo di battaglia è estremamente critica per le forze di Kiev, bisogna prenderne atto. Non è certo estendendo le capacità di offesa ucraine nei confronti del territorio russo che si può risolvere la situazione.
Le dichiarazioni di Stoltenberg danno l’idea del disorientamento della NATO?
C’è una grave difficoltà a prendere atto del fatto che la situazione sul campo di battaglia non è affatto favorevole per Kiev. E questo è il punto di partenza per parlare di una soluzione negoziale, tema che non è ancora entrato nel dibattito pubblico europeo. Sarei molto prudente nell’accettare un’escalation di questo tipo e nel sopportare la responsabilità di conseguenze che non siamo preparati a gestire.
I russi potrebbero sentirsi autorizzati a colpire i Paesi da cui provengono le armi?
Certamente, è questo il vero problema.
Tra l’altro, Stoltenberg nelle stesse ore ha anche dichiarato che la NATO non invierà truppe in Ucraina né sarà coinvolta direttamente: prima sembra voler attaccare, poi fa il pompiere?
La comunicazione strategica in ambito NATO è una cosa molto seria, significa che in questo momento ci sono problemi di coordinamento. Un giorno ammetti che la situazione sul campo è grave e il giorno dopo chiedi di togliere ogni vincolo all’uso delle armi e inviti a intervenire in Russia con tutto ciò che è possibile usare. In questo momento bisogna abbassare i toni, occorre prendere atto della realtà e gestirla. Bisogna cominciare a parlare di qualcosa di diverso: ci sono stati centinaia di migliaia di morti, cosa dobbiamo aspettare per mettere fine al conflitto? Sul campo la situazione è quella e bisogna prenderne atto.
Putin è tornato a offrire un negoziato parlando di una pace possibile sulla base dell’accordo trovato in Turchia due anni fa e congelando il conflitto. Come mai insiste su questo punto: gli conviene chiudere la guerra?
Penso di sì. Se ripenso al conflitto coreano, che molti chiamano in causa perché la soluzione che viene spontaneo portare come riferimento è quella della divisione delle due Coree, una volta che USA e URSS si sono messe d’accordo sulla necessità di parlare, sono passati due anni e mezzo. Mentre parlavano, si combatteva. In Ucraina non so se siamo vicini al limite di rottura delle forze di Kiev, ma i russi sono in grosso vantaggio e sono in grado di partire da ciò che hanno conquistato. Ormai la divisione dell’Ucraina è inevitabile.
Una verità sotto gli occhi di tutti di cui però l’Occidente pare non voglia rendersi conto?
Ian Bremmer, commentatore influente negli USA, lo aveva già affermato a febbraio durante la conferenza di Monaco e in questi giorni lo ha ribadito. I russi capitalizzano i successi che hanno ottenuto. Credo che dovranno solo guadagnare qualcosa a sud per mettere al riparo la Crimea da problemi futuri. Riproporre il pacchetto di Ankara dal loro punto di vista è vincente.
Cosa si potrebbe fare riconsiderando l’accordo del 2022?
Le misure sono molto chiare, bisognerà capire da parte ucraina quali potrebbero essere le garanzie di sicurezza, che non sono affatto semplici da configurare. Si fa presto a dire congeliamo il conflitto: occorre indicare chi saranno i garanti del processo di pace, quali garanzie potrebbero essere offerte all’Ucraina tenendo conto che l’obiettivo della Russia è di non avere al confine un Paese ostile. Un discorso enorme che bisogna cominciare ad affrontare.
Lituania, Norvegia, Estonia, Finlandia e Polonia si sono accordate per creare un muro di droni che le difenda da eventuali cattive intenzioni della Russia. Se continuiamo sulla strada della guerra è questo che ci aspetta, uno scontro Europa-Russia?
Non generalizzerei: quei Paesi hanno dei problemi anche storici con la Russia ed è logico per loro immaginare un futuro fatto di rapporti ostili con la Russia. Ma non riguarda tutta l’Europa: la narrazione dei russi che dopo l’Ucraina arrivano a Lisbona mi sembra poco verosimile. Non ne hanno bisogno: noi i russi li abbiamo già in Libia.
L’Europa si preoccupa troppo poco del fronte sud?
Nel Mediterraneo ci sono già sette navi russe con capacità lanciamissili. In Libia i russi apriranno una base navale, replicando il modello siriano, realizzando il loro secondo sbocco su questo mare. Con il benestare di Haftar e tutti i benefici che vengono concessi dal punto di vista legale. In Siria sono riusciti a ottenere dal governo l’utilizzo sovrano della base, che è diventata territorio russo. E Haftar concederà gli stessi benefici. L’Europa, insomma, non sono solo la Polonia, la Finlandia e i Paesi baltici, dobbiamo lavorare anche sul fianco sud dell’Alleanza: è fondamentale per noi italiani, come dovrebbe esserlo per altri Paesi come Grecia e Spagna.
I problemi sul tappeto, insomma, sono molti di più di quelli che si pensa?
Siamo in una situazione molto più complessa di come la si vuole dipingere. Dovremo chiederci anche quale sarà il ruolo della Russia nel nuovo contesto di sicurezza mondiale una volta congelato il conflitto in Ucraina, quali rapporti dovremo avere da qui ai prossimi cento anni con i russi. Ma abbiamo a livello europeo una classe dirigente in grado di sostenere un dialogo e un confronto di questo genere?
(Paolo Rossetti)
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