Di fronte alla “tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche” (Draghi) rappresentata del coronavirus, con effetti, ha detto l’ex presidente italiano della Bce, pari a quelli delle guerre, l’Unione Europea appare disarmata e divisa. Divisa perché senza unità di intenti. Disarmata perché lo statuto della Bce non le concede la flessibilità e gli strumenti di cui è dotata la Federal Reserve. Eppure, una strada c’è. In due mosse. La prima è quella di “cercare la garanzia europea di ultima istanza dove il voto è a maggioranza e non vincolato dall’unanimità: la Bce”. La seconda è quella di “assorbire dentro il bilancio della Bce il debito di emergenza che non può essere ripagato”. Sapendo che la Germania dirà no. La via d’uscita? Un patto con la Fed è inevitabile, dice al Sussidiario Carlo Pelanda, economista.



Von der Leyen ha detto no ai coronabond. Sarebbero o no la soluzione, come dicono Italia, Spagna e Francia?

Sarebbero certamente parte della soluzione intesa come costruzione di un prestatore illimitato di ultima istanza europeo capace di gestire la crisi dovuta al blocco economico, ma la Germania non vuole anche perché non può.



Se non sono la soluzione, qual è la via d’uscita dall’impasse politica europea?

Cercare la garanzia europea di ultima istanza dove il voto è a maggioranza e non vincolato dall’unanimità: la Bce. Se questa compra debiti in modo illimitato allora gli Stati potranno fare più debito d’emergenza. Questa è la strada, pur subottimale, per avere soldi e allo stesso tempo non spaccare l’Ue.

Nonostante la Germania?

Sull’espansione del bilancio Bce la Germania, pur contraria, non si opporrà oltre misura. Anche perché il suo elettorato, come tutti gli altri, non riuscirà a capire le tecnicalità, lasciando al governo uno spazio diplomatico: prendete i soldi dove posso nasconderlo agli elettori tedeschi. Per questo trovo da dilettanti la richiesta delle nazioni mediterranee di forzare l’impossibile.   



Intanto la nostra economia è entrata in un tunnel in cui non si vede la luce.

Decine di imprenditori mi telefonano disperati. Se il mio cliente tedesco riapre il 14 aprile e io non posso rifornirlo – mi dice uno dei leader mondiali di componentistica avanzata – i tedeschi acquisteranno dai cinesi. Quindi oltre al problema di cassa d’emergenza c’è il rischio strutturale di perdita di fette di mercato. 

E secondo lei qual è la ricetta?

Armonizzare rapidamente i requisiti di salute ed economici, cioè far ripartire i settori produttivi dove è possibile rendere sicuro il processo. Anche perché la ripresa avverrà in presenza del rischio residuo di contagio e pertanto meglio anticipare questa decisione e gli strumenti relativi.

Ma dopo il Consiglio europeo di giovedì, cosa si può chiedere all’Europa?

All’Ue va chiesto solo di allentare il Patto di stabilità, come già ottenuto, e di lasciare aperti i confini per il commercio. Altro una Ue che non esiste non può fare, a parte restituire all’Italia in forma di investimenti e garanzie i soldi che l’Italia ha già versato ai fondi. L’attenzione, invece, va indirizzata alla Bce. Quei 750 mld di Qe, estendibili, lanciato senza preoccuparsi delle capital keys sono una cosa seria. Metà di quello che poteva, la Bce lo ha fatto.

E l’altra metà qual è?

Cominciare a pensare come assorbire dentro il bilancio della Bce il debito di emergenza che non può essere ripagato. Se invece dobbiamo ripagarlo, anche con formule diluite nel tempo, uccidiamo la ripresa. Rischiando che il dopo-crisi sia peggiore della crisi epidemica.

È quello che ha chiesto Mario Draghi nel suo ultimo intervento. Altrimenti?

Non lo ha chiesto direttamente anche perché non è il momento. Ma sarà un tema del prossimo futuro, perché senza sterilizzazione o cancellazione parziale del debito gli Stati non avrebbero più spazio nella loro politica fiscale per fare investimenti a sostegno di economia e famiglie.

Dunque non basta stampare moneta.

No. Bisogna anche annullare una parte del debito.

Quindi?

Siccome il dare facoltà di de-debitazione alla Bce non riuscirà mai a passare, la Fed, con statuto immensamente più flessibile, è destinata a diventare il vero prestatore di ultima istanza anche per l’eurozona.

E come avverrebbe la convergenza?

Con un trattato commerciale che integri i due mercati al punto che non possano avere oscillazioni valutarie. Sarebbe la soluzione via bypass del problema tedesco.

Diceva prima che la Germania non può dire sì a una riforma della Bce, perché?

I politici tedeschi capiscono la situazione, non sono sprovveduti. Alle obiezioni sul gap di garanzia di ultima istanza nell’eurozona rispondono disperati che se ci diamo una Fed europea, l’elettorato li destabilizza, spaccandosi tra un’estrema destra e un’estrema sinistra. In effetti l’elettorato tedesco è provinciale e non capisce. Inoltre non ha ancora assorbito la sostituzione del marco con l’euro. Bisogna tenerne conto.

Dunque secondo lei la prospettiva è quella di continuare ad avere una Banca centrale incompleta, aggirando il problema mediante un accordo di mercato con gli Usa?

L’accordo di scambio TTIP era questo, poi è saltato. Però sia con Trump nel suo secondo mandato, sia con Biden, questa è la la soluzione. Andrebbe bene a entrambi. Sarebbe l’aggregato economico, finanziario e militare più forte del pianeta. Inoltre al dollaro conviene avere l’euro come moneta ancillare per mantenere lo status di riferimento mondiale. Un tale swap o compromesso ha molto senso tecnico e politico.

Nel breve periodo, le nostre sorti quali sono? Evidentemente sono legate a quelle del governo Conte.

In periodo di emergenza è meglio non cambiare governo, ma rinforzarne le capacità.

(Federico Ferraù)

(1 – continua)

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