La maratona europea sull’accordo per il Recovery Fund ci ha consegnato un’Unione Europea che si può interpretare, o meglio “tirare”, da tutte le parti, a seconda delle convenienze di analisi e di tifo politico, non di politica, perché quella è solo un ricordo del passato e ci vorranno anni per riscoprirla e attuarla.
Secondo la vulgata “europeista” classica avrebbero vinto, in questo importantissimo accordo, le famiglie classiche (cristiano–popolari, centristi, liberali e socialdemocratici) contro i cosiddetti sovranisti e populisti, misteriosi pre-politici capaci solo di fare propaganda.
Ma lo scontro a Bruxelles si è concentrato in modo perlomeno strano. Da un lato l’Olanda (leader popolare Mark Rutte), la Danimarca (premier Mette Frederiksen, socialdemocratica), la Finlandia (premier Sanna Marin socialdemocratica), la nobile democrazia svedese (premier Stefan Lovfen, ovviamente socialdemocratico per tradizione secolare) e l’Austria (premier Sebastian Kurz popolare merkeliano), contro, dall’altro lato, l’Italia di Giuseppe Conte, uomo fascinoso dalla camminata studiata ma provinciale, la Spagna, il Portogallo e la Francia del pupillo dell’Ena, Emmanuel Macron, con la Germania di frau Merkel che parteggiava per i “richiedenti” del Recovery Fund.
In pratica la “maggioranza Orsola” del nostro Romano Prodi si è tutta ingarbugliata. Perché mentre un gruppo dei democratici tradizionali che appoggiano Ursula von der Leyen protestavano sull’ammontare di prestiti e sussidi dopo la pandemia, particolare non secondario, l’ungherese Viktor Orbán e il polacco Mateusz Morawiecki, accusati di populismo e sovranismo, se non di peggio, con Orbán pur sempre “popolare”, si schieravano contro i cosiddetti “frugali” e a fianco dei paesi del Sud Europa.
Da un punto di vista di schieramento politico un autentico putiferio, che fa pensare a un’Europa disgregata che ha raggiunto un accordo al ribasso che è tutto da verificare e che, anche in questa occasione drammatica, offre l’immagine di un’ammucchiata di Stati che fanno i loro affari nazionali in ordine sparso mentre solidarietà e percorsi istituzionali condivisi vengono sempre dimenticati se non addirittura ignorati.
Naturalmente questa confusione sin troppo palese, malgrado l’accordo raggiunto, ha fatto dire che “hanno vinto tutti”. I pareri dei cittadini europei sono piuttosto differenziati: si va dagli insulti dei nazionalisti olandesi a Rutte agli epinici a “Giuseppi”: applausi alle Camere, atteggiamento quasi come Giulio Cesare che conclude la pace con l’Egitto. Rocco Casalino avrebbe potuto almeno acconciarsi da Cleopatra e il trionfo si trasferiva direttamente sui Fori Imperiali. Poi ci sono i danesi che stanno pensando a un referendum per seguire la Brexit britannica.
In realtà, l’impressione è che tutti stiano a vedere, in attesa trepidante, la caduta dell’economia globale nel prossimo autunno. E mentano sapendo di mentire, oppure creando illusioni.
In Italia i numeri previsti per i prossimi mesi sono da choc, a partire dal crollo del Pil, dall’aumento del debito, dal blocco dei consumi, della produttività, della produzione industriale franata, di tutti i parametri con situazioni drammatiche sull’occupazione anche perché un terzo delle piccole e medie imprese italiane (il perno della nostra economia) sembra destinato alla chiusura.
Si dovrebbe almeno avere il pudore di aspettare e lavorare assiduamente per salvare il salvabile, studiando attentamente i piani che dovrebbero consentirci di prendere oltre 200 miliardi. Ma soprattutto si dovrebbe affrontare con piani precisi i prossimi sei mesi, i più delicati, quando i soldi europei non potranno arrivare. Si parla di un acconto di 20 miliardi per gennaio e poi di scadenze programmate e vigilate a partire dalla metà del prossimo anno. Troppo poco tempo e il tempo diventa un fattore determinante. Chi non vive fuori dal mondo o dalla realtà, come a volte sembra per alcuni ministri e il premier di questo governo, si chiede con angoscia che cosa possa succedere sul piano sociale, politico ed economico di questo Paese che sembra devastato. Altro che festa e applausi!
Il timore, sarà bene dirlo con chiarezza, è che in molti c’è un timore che è anche un incubo: di fronte alla chiusura di molte aziende, di fronte alla disoccupazione galoppante, di fronte alla mancanza di liquidità, questo incubo potrebbe concretizzarsi in una serie di rivolte sociali.
Come cercare di uscire da questo tunnel e da questa disgregazione politica che riguarda l’Italia e l’Europa senza realistiche e credibili alternative politiche? Tanto per intenderci, in Europa, sul Recovery Fund, l’unico vincitore resta la mediazione indispensabile di Angela Merkel, che, dopo aver incassato una serie di insuccessi clamorosi, si è messa a fare da mediatrice per non mettere la firma sulla fine di un’Europa disgregata e salvare gli interessi tedeschi che sono ancora legati a questa Europa. Ma è solo un momento che può durare un anno o due al massimo.
L’impressione è che dietro al faticoso accordo sul Recovery Fund ci sia l’ombra e la paura dell’immediato e non governato dissolvimento europeo. l’Italia andava necessariamente in parte soddisfatta sopratutto perché senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma si tenta di illudersi o ci si illude che il debito comune del Recovery Fund possa essere replicato. Chi lo pensa deve mettersi in sintonia con Rutte e la sua compagnia “frugale” e dipende fino a quando interesserà alla Germania.
Sbaglieremo, augurandoci di sbagliare, ma l’impressione è che il percorso europeo, di fronte a queste prove e a quelle che ci attendono, si stia avviando verso il significativo titolo di un grande film di Jean Renoir del 1937: “La grande illusione”.