Quante volte abbiamo desiderato di somigliare ai semi-dei che stanno a Bruxelles? Governano un super-Stato, dettano regole a ministri e capi di Stato, “raccomandano” ai parlamenti di fare questa e quella legge, mettono multe agli Stati che sgarrano, con una preferenza per quelli che si sporgono sul Mediterraneo. Li immaginiamo puri di cuore, sapienti e illuminati da visioni strategiche: dei predestinati.



Invece, sembra che questa volta siano stati presi nella rete come degli allocchi. Spieghiamo con calma che cosa è successo, perché il fatto, che potrebbe essere la trama di un’opera buffa, si inserisce nel dramma pandemico che stiamo vivendo e assume un gusto amaro.

Ad agosto 2020, l’Unione europea (Ue) contrattò con 8 case farmaceutiche l’acquisizione di varie centinaia di milioni di dosi di vaccino anti-Covid, acquistando i vaccini dalle 6 case che erano più avanti nella sperimentazione e tenendo le altre due “di riserva”. C’erano già altre case sul mercato con vaccino quasi pronto, in modo particolare c’erano vaccini cinesi e altri prodotti in altri Stati, tra cui la Russia, ma l’Ue scelse case che producevano in Europa e negli Stati Uniti. I contratti con le sei case prevedevano, per l’Italia, la consegna di oltre 202 milioni di dosi per un costo complessivo di oltre 1,5 miliardi di euro.



Sui contratti d’acquisto fu imposto il segreto; tuttavia, una ministra belga postò su un social medium i dati su quantità e prezzi dei vaccini acquistati, ritirandoli dopo poche ore, ma ormai i dati erano diventati di pubblico dominio. Così, sappiamo almeno quante dosi abbiamo comperato e a quale prezzo.

Verso la fine di gennaio del 2021, alcune case farmaceutiche, che avrebbero dovuto consegnarci grossi lotti di fiale, ne consegnarono meno del previsto e in ritardo. Ci furono proteste di tutti gli Stati europei, in modo particolare contro la casa farmaceutica anglo-svedese AstraZeneca, tanto che la Commissione europea (presieduta da Ursula von der Leyen) “minacciò” di pubblicare il contratto in atto con AstraZeneca. Nella baraonda mediatica che ne seguì, gli osservatori si chiesero quali segreti così compromettenti per la casa farmaceutica nascondesse il contratto. Insomma, un thriller internazionale.



Le minacce furono reiterate per un paio di giorni. Il giallo terminò perché fu la stessa AstraZeneca svedese, filiale dell’omonima holding britannica, a dire che, se non lo faceva l’Ue, avrebbero pubblicato loro il contratto. Il contratto è stato immediatamente pubblicato e si può tuttora scaricare dal sito dell’Ue. Tuttavia, il mistero rimase tale e quale, poiché tutte le cifre e i passaggi cruciali (intere pagine) erano stati oscurati in neretto, come quando si sopprime una parte di scritto col pennarello nero. Invece, un giornale tedesco, Der Spiegel, seppe rapidamente rimuovere le cancellature informatiche prima dell’ennesimo ritiro e rese di pubblico dominio le parti nascoste.

Che cosa si voleva nascondere oscurando il testo? Secondo AstraZeneca, le parti da nascondere riguardavano le fatture, tuttavia non è chiaro perché le fatture dovevano rimanere segrete, visto che la ministra belga aveva già reso palesi le cifre degli acquisti. L’Ue sembra avvalorare la tesi AstraZeneca, affermando che il 95% delle cancellazioni le voleva la casa farmaceutica, e facendo capire che il 5% le voleva l’Ue. Cosa riguardi il 95% e cosa il 5% non è dato sapere.

Grazie a Der Spiegel, sappiamo che il contratto contiene clausole che possono avvantaggiare il produttore AstraZeneca a discapito del compratore, cioè noi. Il produttore aveva preparato delle trappole neppure tanto sottili per il compratore e l’aveva convinto che, quanto meno si sapeva in giro delle trappole, tanto meglio era. Sembra che l’Ue abbia capito che c’erano delle trappole solo quando queste sono scattate, ossia quando la casa farmaceutica ha detto candidamente che poteva fare quello che voleva, dato che il contratto non prevedeva né date certe di consegna, né prezzi definitivi, né penali per mancato rispetto delle consegne. L’ipotesi più benigna per l’Ue è che sono stati superficiali, avevano fretta, non hanno letto bene il contratto. L’ipotesi maligna è che, conoscendo le carenze, abbiano accondisceso. Non prendiamo neppure in considerazione questa seconda grave ipotesi, perché fatti concomitanti ci fanno propendere per la prima, quella della superficialità.

Il lettore curioso si sarà chiesto: perché il contratto con AstraZeneca, come tutti gli altri contratti con le case farmaceutiche, è stato stipulato nell’agosto del 2020, quando nessun vaccino era pronto? Ecco la risposta: nella corsa ai vaccini, l’Ue ha giocato d’anticipo rispetto alla concorrenza internazionale, finanziando addirittura la produzione dei vaccini quando questi erano solo in via di sviluppo, e facendosi promettere dalle case farmaceutiche che, a vaccino prodotto, sarebbe stata l’Europa ad averlo per prima. Per questo, l’Ue anticipò 3 miliardi di euro alle sei case farmaceutiche.

Nel contratto con AstraZeneca c’è scritto che:

1) AstraZeneca avrebbe consegnato appena possibile 300 milioni di dosi, con l’opzione di 100 milioni di dosi supplementari;

2) AstraZeneca avrebbe consegnato i vaccini a prezzo di costo;

3) l’accordo valeva 870 milioni di euro. Qualora i costi superassero questo importo, “l’azienda deve informare la Commissione”; in particolare, se i costi superassero il 20% del valore, basta che l’azienda fornisca all’Ue “le prove necessarie”. I 100 milioni di dosi opzionali sarebbero venduti senza profitto “a meno che non stabilisca in buona fede che il primo luglio la pandemia non è cessata”: se non sarà cessata, il prezzo sarà quello di mercato.

Apparentemente, nessun contratto è migliore di questo. Promette tantissime dosi, addirittura a prezzo di costo. Perché allora i giornalisti rimproverano i signori di Bruxelles di essere stati, come minimo, imprevidenti e taccagni? Analizziamo una cosa alla volta e capiamo subito che un tale contratto è perfetto tra gli angeli che abitano il giardino dell’Eden, mentre puzza di zolfo se è passato per le mani degli avvocati di una casa farmaceutica che opera per il profitto.

Cominciamo con il prezzo, che dovrebbe essere al costo. La ministra belga ci ha fatto credere per mesi che una fiala AstraZeneca costava 1,78 euro. Basta dividere 870 per 300 per capire che, invece, l’anticipo era già di 2,90 euro alla firma del contratto. Quanto sarà il costo a consegne avvenute dipenderà dai costi, i quali, per contratto, possono essere del 20% superiori a 2,90 euro (ossia: 3,48 euro, circa il doppio di 1,78), ma, fornendo “le prove necessarie” (ossia: presentando un conto spese) possono essere superiori. Non si dice di quanto. Insomma, se la casa ci presenta un conto quale che sia, deve solo avvisarci e noi dovremo pagare “a piè di lista”.

Sarebbe come se, il giorno di apertura di un nuovo supermercato di quartiere, la clientela fosse invogliata ad acquistare dall’avviso che, solo quel giorno, ogni prodotto sarebbe venduto al prezzo di costo, però il prezzo d’acquisto lo si saprà alla cassa, quando non si potrà più rinunciare all’acquisto. È facile immaginare che la clientela più guardinga aspetterebbe i prezzi fissi per entrare nel supermercato e che solo un disperato sarebbe disponibile a comprare senza sapere quanto pagherà.

A Bruxelles, hanno pre-pagato l’acquisto, in pratica finanziando la produzione del vaccino, hanno accettato di pagare un prezzo non fisso e, quel che è peggio se si pensa che il vaccino è la sola arma utile oggi per limitare gli effetti del virus, si sono accontentati della buona fede della casa produttrice per la fissazione dei tempi di consegna. Inoltre, si fa fatica a capire che cosa ce ne faremmo dei 100 milioni di dosi supplementari se l’epidemia, in buona fede, sarà cessata. Forse pensavano di tenerle di scorta o cederle a paesi in via di sviluppo: questo è un mistero nel mistero.

Finora abbiamo parlato solo di AstraZeneca perché le cose sono andate male con loro, ma è probabile che contratti dello stesso tenore siano stati siglati con le altre case farmaceutiche con cui abbiamo dei contratti. Oggi i contratti sono secretati; un giorno, forse, sapremo. È certo che l’Ue ha dato un congruo anticipo in agosto anche alle altre case farmaceutiche. La cronaca, inoltre, fa sapere che anche le altre case stanno rallentando le consegne dei vaccini. Se tanto dà tanto, anche le parti nascoste dei contratti saranno simili a quelle di AstraZeneca e i costi per il bilancio europeo saranno, pertanto, ben superiori di quelli scritti sulla tabella che ci svelò la ministra belga.

Per dirla in breve, siamo nei pasticci, sia che vogliamo vaccinare al più presto gli italiani, sia che vogliamo salvaguardare il bilancio del Paese. A proposito dei soldi, ricordiamo che, ad agosto, l’Ue ha anticipato solo due terzi del prezzo e che il resto dobbiamo tirarlo fuori dal magro bilancio patrio.

In questo pasticcio, c’è un filone per niente secondario che però non trattiamo in questo articolo. Riguarda i tempi troppo rapidi di sperimentazione del vaccino. Infatti, tra agosto e dicembre 2020, ossia tra la stipula dei contratti e la data di consegna, sono passati solo quattro mesi, mentre – coerentemente con il pensiero comune – sul sito della Ue è scritto candidamente che ci vorrebbero 12-18 mesi per creare e testare un vaccino. Vale a dire che i vaccini acquistati sono stati appena sfiorati dalla sperimentazione.

Non sappiamo come usciremo dal pasticcio, però possiamo fare delle congetture. Israele, il paese che ha inoculato più dosi di vaccino in proporzione alla popolazione, ha acquistato a prezzi di mercato solo vaccini Pfizer e Moderna, che sono i più costosi in assoluto, pagandoli più del doppio del prezzo scritto nella solita tabella. Tuttavia, il governo israeliano non si lamenta del prezzo, perché sostiene che il costo economico dei vaccini è inferiore a quello di due giorni di lockdown. Se i vaccini riusciranno a frenare il contagio, la rapidità della vaccinazione sarà proporzionale al risparmio per il Paese. Il discorso su Israele mira a far capire che:

1) è illusorio credere che il prezzo sia quello della citata tabella, pagheremo molto, molto di più;

2) i vaccini saranno consegnati alla Ue un po’ alla volta, dopo che gli altri saranno serviti.

Il pasticcio sui contratti firmati a Bruxelles è di una gravità inconcepibile in un super-Stato qual è l’Ue. Due sono i colpevoli: i funzionari che hanno predisposto i contratti e la presidentessa von der Leyen che li ha voluti. Cominciamo dal vertice: l’idea di giocare d’anticipo rispetto agli altri Stati era buona, però un capo politico deve avere non solo idee, ma anche capacità di realizzarle. In questo caso, c’era una situazione difficile da risolvere che chiedeva sia visione, sia efficacia in tempi stretti. Dispiace per lei, e più ancora per noi, ma la competenza della presidentessa non si è dimostrata allo stesso livello della sua signorilità.

Come andrà a finire è difficile dirlo, però sembra che si sia fidata troppo dei suoi collaboratori, come in altre occasioni. Infatti, il Parlamento del suo paese, la Germania, sta indagando su presunte leggerezze commesse dai suoi fiduciari quando era ministro della Difesa. E i tedeschi sono piuttosto severi se si sperpera il denaro di tutti. In questo momento delicato, l’Europa ha un vertice politico sminuito.

Quelli che consideriamo più colpevoli sono i funzionari della Commissione europea. Queste persone sono passate attraverso prove concorsuali selettive, perché devono essere in grado di dare un contributo positivo anche in condizioni di forte stress, e sono ben pagati. Nel caso in questione dovevano fare fronte ai temibili avvocati delle case farmaceutiche. Invece, complici la fretta, l’afa estiva, il pensiero delle ferie, i meeting che durano fino a notte e chissà cos’altro, si sono fatti prendere in giro, con l’aggravante di essere stati preavvertiti dalla controparte che le clausole cruciali non dovevano assolutamente essere di pubblico dominio, anzi dovevano essere tenute segrete.

Possibile che nessun funzionario abbia sospettato che le case farmaceutiche non erano enti filantropici? In tutte le storie oscure c’è una “gola profonda”: come mai, in tanti mesi, nessuno ha violato il patto del silenzio? Se è vero che i tecnici sono responsabili quanto i politici che se li scelgono come braccio esecutivo, l’Ue chiederà ai colpevoli la rifusione dei danni che hanno provocato alla comunità?

Per chi ha nel cuore l’unità europea, queste sono domande retoriche, nel senso che hanno una risposta ovvia. Se proprio l’Ue non può obbligarli a contribuire in solido, faccia come facevano i romani: promoveatur ut amoveatur, promuova ogni incompetente a capo di un ufficio di cui non solo è l’unico componente, ma che è anche vicino a casa sua. Una volta mandati questi al loro paese, la Commissione faccia un’ampia campagna vaccinale interna contro l’ignavia, la quale è un vizio capitale come la superbia e, a certe altitudini, può provocare gravi danni.

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