L’Unione Europea ha trattato l’approvvigionamento di vaccini AstraZeneca mettendosi in posizione subordinata rispetto all’azienda e scaricando sugli Stati tutta una serie di incognite, alcune delle quali si sono puntualmente verificate nel modo più sfavorevole, come i problemi di fornitura. “L’impressione è che si sia lavorato su una bozza di contratto fornita dalla multinazionale”, spiega Paolo Quercia, docente di studi strategici nell’Università di Perugia, con il quale abbiamo già parlato del contratto siglato dalla Commissione europea con la multinazionale anglo-svedese. In questa intervista abbiamo continuato l’esame dei punti più salienti e fatto alcune considerazioni sulle ultime novità. Ieri la Commissione ha fatto sapere che da adesso in poi si orienterà su vaccini a Rna messaggero come Pfizer e Moderna, preferendoli a quelli a vettore virale come appunto AstraZeneca, Johnson & Johnson e Sputnik.
“Ora dobbiamo accelerare e non commettere più errori né subire ignari errori commessi da altri” conclude Quercia. “È una questione di interesse e di sicurezza nazionale, non solo di salute”.
Diceva che l’azienda non assume alcun obbligo di produzione, se non quello di valutare in buona fede le richieste aggiuntive. Cos’altro ha potuto rilevare?
L’altro aspetto preoccupante è che l’Ue non è riuscita ad obbligare con certezza l’azienda a produrre sul territorio degli Stati membri anche solo una parte certa delle dosi destinate all’Europa.
Da dove lo desume?
Anche qui compare, nell’articolo 5.4, non un obbligo ma nuovamente l’ambiguo concetto del Best Reasonable Effort di produrre nel territorio dell’Unione i vaccini acquistati dall’Europa. Con la particolarità che il Regno Unito, anche dopo la Brexit, nel contratto continua ad essere equiparato ai Paesi membri. Su questo punto viene contemplata la possibilità dell’azienda anche di produrre fuori dall’Unione non utilizzando i siti manifatturieri europei, opzione attivabile con una comunicazione motivata alla Commissione. Come abbiamo visto, questo aspetto territoriale della produzione è fondamentale in quanto è su di esso che può basarsi il regime di Export Control dei vaccini che la Commissione ha introdotto con Regolamento il 30 gennaio 2021.
Andiamo avanti.
Interessante poi notare che AstraZeneca si è preoccupata di introdurre in maniera asimmetrica una clausola (6.2) che regola il caso in cui l’azienda non riesca a rispettare le proprie consegne per effetti indiretti di contratti stipulati dalla Commissione con un’altra azienda concorrente, mentre non è regolata la possibilità che i ritardi delle consegne siano dovuti ai contratti di fornitura stipulati da AstraZeneca con altri Stati, cosa poi realmente accaduta.
Sul fronte delle responsabilità per il prodotto, indennizzi o garanzie?
Su questo lato l’azienda ha ottenuto che nessuna garanzia oltre quelle standard siano indicate nel contratto. Con la difficoltà di leggere tra gli omissis, appare anche che non vi sono clausole di responsabilità per AstraZeneca; al contrario all’articolo 15 c’è una manleva nel caso di mancanza di sicurezza (safety) o efficacia (efficacy) del vaccino. Ed in caso di richieste di indennizzo, l’articolo 14 prevede che sono i singoli Stati membri acquirenti, non AstraZeneca o la Commissione che ha negoziato il vaccino o le autorità che lo hanno autorizzato a rispondere ad eventuali richieste per cause e spese legali che possono nascere dal processo di vaccinazione della popolazione.
Lei sta descrivendo un totale disastro.
Non so se è un disastro. E soprattutto non sono io a poterlo dire. Non sono in grado di valutare se c’erano alternative migliori o se i contratti con altre aziende sono più vantaggiosi. Però, più che analizzare il contratto per capire se è stato negoziato bene, direi che possiamo assumere che esso sia stato negoziato correttamente da un punto di vista tecnico. Ma sono i rapporti di forza che ne vengono fuori che sono inquietanti. Ed è anche l’immagine dell’Europa come moltiplicatrice della forza degli Stati nazionali che ne esce danneggiata.
C’è altro? Come se quanto abbiamo visto fin qui non fosse un’enormità.
Vi sono altre clausole qua e là nel contratto che confermano la gerarchia dei rapporti di forza, che vede gli Stati membri essere divenuti la parte debole pur avendo fatto massa critica. L’impressione è che si sia lavorato su una bozza di contratto fornita dall’azienda. A parte questo, un aspetto che a me suona strano è che nel contratto viene regolato solo l’accordo quadro della Commissione con l’azienda, mentre non si trovano patti specifici con i singoli Stati membri, che poi sono i veri acquirenti.
L’ennesimo errore.
Sì, perché le debolezze del contratto quadro della Commissione potevano essere compensate da riserve o patti integrativi dei singoli Stati, che anche loro hanno firmato assieme alla Commissione il contratto. Ciò anche i ragione delle proprie necessità specifiche, del proprio diritto interno e delle norme sulla salute nazionali, della diversità dei piani vaccinali.
Gli Stati insomma appaiono confinati in un ruolo marginale.
Direi di sì. Ma a questo punto temo che sia stata una scelta degli Stati di mandare avanti la Commissione. Questo ruolo marginalizzato degli Stati appare confermato anche da un altro aspetto. Al momento della firma dell’Advance Purchase Agreement (Apa) gli Stati membri non sapevano quanti vaccini spettassero loro perché il Binding Allocation previsto all’art. 8.3 doveva essere definito dopo la firma dell’Apa. Insomma solo dopo la firma dell’accordo quadro si è proceduto a definire le quote nazionali e vedere in realtà quante dosi – in teoria – spettavano a ciascuno.
In sintesi?
Si può dire che il contratto stipulato dalla Commissione con AstraZeneca in nome e per conto degli Stati membri è carente da vari punti di vista e in particolare sulle garanzie per la parte acquirente, lasciando sulle spalle degli Stati eventuali problemi di fornitura, cosa che si è puntualmente verificata. Non so quanto gli Stati nazionali erano a conoscenza della debolezza dell’impianto contrattuale e quanto questo aspetto aleatorio sia stato preso in considerazione nella formulazione dei piani vaccinali nazionali. L’abuso della clausola del “miglior sforzo possibile” per contratti di questa dimensione e di questo valore è indubbiamente inadeguata.
Che cosa si doveva fare?
Sarebbe stato meglio pagare di più ma avere una maggiore certezza nelle consegne. Ad ogni modo le particolarità di questo contratto sono probabilmente il risultato dell’incrocio di eventi eccezionali come la pandemia con problemi strutturali dell’Unione, in particolare la sua indefinita natura giuridica.
Ecco, possiamo approfondire questo punto?
Da questo caos giuridico a cavallo di molteplici ordinamenti sarà difficile venire fuori. Nel contratto la Commissione assume obblighi bilaterali con la sede svedese di un’azienda multinazionale per conto di 27 Stati membri e questi obblighi producono effetti per gli Stati che sono essi stessi parte contrattuale subordinata rispetto all’accordo principale. In questo quadro, si collocano le assai problematiche clausole di legge applicabile (art. 18.4) – legge belga – e di giurisdizione/risoluzione delle controversie (art. 18.5) – Corti di Bruxelles.
E dove sta il problema?
È lecito avanzare dubbi sulla “coerenza” di tali clausole, dato che il contratto ha una sua pratica esecuzione in ciascuno degli Stati membri della Ue e visto che, ai sensi dell’art. 8.3 c), gli Stati Ue sono i proprietari dei vaccini acquistati, tanto che sono legittimati a rivendere il vaccino ad altri Stati europei non facenti parte dell’Unione. Il collegamento giuridico con il Belgio mi pare che sia aleatorio in quanto non corrisponde né al produttore né all’utilizzatore dei vaccini.
Dalle ultime notizie sembra che la Commissione voglia voltare pagina accelerando su altre forniture come Pfizer. Dobbiamo supporre che anche questo contratto abbia gli stessi errori?
Tenderei ad escluderlo. Sia per l’esperienza maturata da questo rapporto problematico, sia perché i meccanismi economici sono diversi. Il contratto con AstraZeneca si basava sull’assunto che l’azienda non doveva avere da questa partita né profitti né perdite.
La Commissione ha optato per nuove forniture di vaccini a Rna messaggero come Pfizer e Moderna, che saranno preferiti a quelli a vettore virale come AstraZeneca, Johnson & Johnson e Sputnik. È un’operazione politica?
Sì, nel senso che scegliere un vaccino che può ripristinare le condizioni normali di vita per centinaia di milioni di persone è un’operazione politica.
La dichiarazione di Draghi che i prossimi contratti “saranno fatti meglio” e la notizia di un suo ruolo attivo nel contattare le aziende produttrici fanno pensare ad un ruolo di affiancamento o di supplenza rispetto alla presidenza della Commissione. Che ne pensa?
Indubbiamente il premier Draghi può muoversi su molteplici livelli a livello internazionale, sia nel pubblico che nel privato. Certamente in questo anche supplendo a debolezze della Commissione.
Ieri il gen. Figliuolo ha annunciato l’arrivo in Italia di 7 milioni di dosi Pfizer in tre mesi. Quali saranno le conseguenze per noi del caso AstraZeneca?
Quelle ormai ci sono già state ed hanno comportato il ritardo estremo del nostro piano vaccinale. Ora dobbiamo accelerare e non commettere più errori né subire ignari errori commessi da altri. Siamo il primo Paese ad essere entrato nella pandemia e ne dobbiamo uscire tra i primi. È una questione di interesse e di sicurezza nazionale, non solo di salute. (2 – fine)
(Federico Ferraù)
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