In Germania il vaccino CureVac ha mostrato un’efficacia nei test preliminari solo del 47%; in Italia si registrano quote di vaccinati con AstraZeneca (il 10% nel Lazio) che ora rifiutano la seconda dose; negli Usa il siero anti-Covid della Novavax, pur promettentissimo (ha un’efficacia del 90% anche con le varianti), potrebbe arrivare all’iter autorizzativo in ritardo, non prima di settembre. Negli ultimi due giorni dal mondo dei vaccini non sono arrivate notizie brillantissime. Segnali, come spiega l’immunologo Guido Forni, che “dimostrano ancora una volta quanto sia difficile fare un vaccino che funzioni bene”.



Il laboratorio tedesco CureVac ha ieri annunciato che il suo vaccino sperimentale anti Covid-19 a Rna messaggero ha mostrato solo il 47% di efficacia al termine di un test preliminare condotto su 40mila soggetti. Tanto per fare un paragone, i due sieri simili – Pfizer-BionTech e Moderna – hanno un’efficacia più che doppia, pari al 90%. Un brutto colpo anche per la nostra campagna vaccinale, visto che l’Italia aveva pre-opzionato più di 30 milioni di dosi del vaccino tedesco?



“Non so se è un brutto colpo per la campagna vaccinale, ma certamente è un colpo durissimo per quanto riguarda lo sviluppo dei vaccini”, risponde Forni, che pure era convintissimo che questo vaccino “particolarmente raffinato, realizzato con tecnologie molto innovative, potesse rappresentare un importantissimo contributo al controllo della pandemia. Anche se i continui ritardi nei risultati dei test avevano fatto scattare qualche campanello d’allarme, il fallimento giunge inaspettato”.

Meno tranchant il giudizio del professor Antonio Clavenna, ricercatore presso il Dipartimento di Sanità pubblica dell’Istituto Mario Negri di Milano: “Siamo in presenza di analisi preliminari e occorre avere maggiori informazioni rispetto a popolazione coinvolta, varianti in quel momento circolanti all’interno del campione oggetto dello studio e incidenza dell’infezione nelle persone che non avevano ricevuto il vaccino, perché tanto più bassa è l’incidenza tanto più è possibile che con il vaccino non si noti un vantaggio evidente rispetto a chi non è vaccinato. Cosa diversa è condure lo stesso studio quando la carica virale è alta. Con le analisi finali è possibile che qualcosa cambi, anche se è difficile possano esserci variazioni sostanziali”.



Il flop però fa rumore, tenuto conto che CureVac è da 20 anni impegnata nella ricerca, contro i tumori e altre malattie, basata proprio sull’Rna messaggero e che parliamo di un’azienda di punta della potentissima industria chimico-farmaceutica tedesca. Che cosa può essere andato storto? Secondo Forni, CureVac “parte da un metodo di funzionamento dell’Rna diverso rispetto a quello ormai in uso dal 2005 e utilizza solo 12 microgrammi di Rna rispetto ai 100 di Moderna e ai 25-30 della Pfizer. Insomma, una base di estrema efficacia”, a cui si era associata anche l’idea di una produzione semplificata così che ogni grosso ospedale potesse presto avere una sua unità vaccinale in grado di progettare e produrre il siero anti-Covid. “Una rivoluzione forse troppo avanzata e purtroppo andata male – commenta Forni -: come dimostra il crollo brusco in Borsa del titolo CureVac, non so quanto sarà possibile recuperare, perché i ritardi saranno sempre più gravi. CureVac rischia di arrivare all’esame dell’Ema in tempi lunghi, ma a quel punto il panorama della pandemia sarà molto cambiato e l’importanza di un nuovo vaccino sarà valutata su parametri diversi e nuovi”.

Un punto su cui concorda anche Clavenna: “I vaccini che saranno autorizzati nei prossimi mesi dovranno fare i conti con quelli già esistenti: la sfida è arrivare a vaccini più vantaggiosi degli attuali, e non necessariamente in termini di efficacia. Può essere che con la stessa efficacia, il nuovo vaccino presenti una maggiore facilità di conservazione o di somministrazione oppure che può più agevolmente essere utilizzato come vaccino di richiamo dopo il ciclo completo. Se non ci dovessero essere questi vantaggi, un nuovo vaccino inevitabilmente non avrà molte chance di essere inserito dall’Ema nelle prossime campagne vaccinali”.

Sempre ieri Georgy Genov, responsabile della farmacovigilanza dell’Ema, nel corso di un briefing con la stampa, ha dichiarato che al momento si contano “405 casi di potenziali trombosi con le dosi AstraZeneca su 45 milioni di persone vaccinate”. Insomma, eventi molto rari, che tendono poi a rarefarsi ancora di più con la dose di richiamo. Numeri che spingono a pensare che forse la cattiva comunicazione su questi eventi avversi ha portato frettolosamente la Ue, e l’Italia stessa, a bruciare un vaccino, Vaxzevria, che invece gli inglesi hanno somministrato a man bassa e con buoni risultati. “In parte è vero – commenta Forni -, ma in parte va detto che AstraZeneca ci ha messo del suo in maniera pessima, specie con una fase 3 molto confusa. Le complicazioni trombotiche sono accettabili solo a fronte di tanti malati che muoiono di Covid, perché il bilancio rischio/beneficio è sempre molto favorevole, ma se i decessi, come accade adesso, sono così bassi, i rischi diventano meno tollerabili o intollerabili del tutto, specie se ci sono altri vaccini che si possono usare e che sono probabilmente meno pericolosi”.

Non a caso, dopo il caos della vaccinazione eterologa – prescritta dal ministero della Salute, ma solo consigliata come una possibilità dall’Aifa – si registrano da giorni quote di vaccinati con Vaxzevria che ora non vogliono farsi somministrare la seconda dose. Nel Lazio siamo arrivati al 10% e in Liguria si parla addirittura di fuga da AstraZeneca, con il rischio che la psicosi possa diventare più avanti un problema difficile da gestire.

Ma è giusto puntare il dito contro le differenti indicazioni emanate da ministero e Aifa? Secondo Clavenna, “non c’è conflitto: il fatto che Aifa parli di possibilità non significa che non sia d’accordo con la perentorietà del ministero. Aifa esprime un giudizio tecnico, autorizzando la possibilità dell’eterologa, mentre il ministero all’interno della campagna di immunizzazione dà un’indicazione di utilizzare questa strategia per tutte le persone sotto i 60 anni”. E sulla scia di quanto hanno previsto altri paesi Clavenna ritiene che la libertà di decisione – farsi somministrare AstraZeneca o un altro vaccino – possa essere una strada praticabile, anche se potrebbe porre dei problemi logistici e organizzativi non facilmente superabili, perché implica che i punti vaccinali abbiano scorte sufficienti per soddisfare le diverse scelte dei cittadini. L’importante è che si tratti, sempre e in tutti i casi, di una scelta consapevole e informata, spiegando sempre con chiarezza i pro e i contro di ogni siero”.

Sul mix di vaccini dalla stessa Ema sono arrivate parole prudenti: pur in presenza di dati limitati sulla vaccinazione eterologa, alcuni studi preliminari mostrano che la risposta immunitaria è soddisfacente e non emergono problemi di sicurezza. Ma “dobbiamo ancora raccogliere tutte le informazioni. Dal punto di vista dell’Ema non è facile in questo momento dare una raccomandazione”.

Intanto c’è chi si chiede: perché mai devo vaccinarmi con un altro siero di cui non conosco gli effetti combinati con il vaccino della prima dose? “In questo momento – sottolinea Forni – sul vaccino AstraZeneca pesano grande emotività e molta agitazione. Ma l’eterologa è una pratica comune per indurre una buona risposta immunitaria. I vaccini non sono antibiotici o farmaci, piuttosto sono paragonabili a due diversi ‘esercizi’ del sistema immunitario contro lo stesso bersaglio. Insomma, è un po’ come se una persona facesse per 15 giorni pilates alternandolo con allenamenti con i pesi. I due esercizi si combinano molto bene e possono dare risultati molto positivi. Da tempo sono in atto tentativi di produrre vaccini combinati”.

Chissà se basterà per riportare in discesa la strada verso l’immunità di gregge…

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