Mario Draghi ha spronato l’Unione Europea affinché acceleri nelle campagne vaccinali. “Occorre andare più veloce”, ha esortato il nostro presidente del Consiglio durante la discussione dei leader Ue nel vertice in videoconferenza, aggiungendo: “Bisogna dare priorità alle prime dosi alla luce della recente letteratura scientifica”.  E poi ha ammonito le aziende che non rispettano gli impegni: “Non dovrebbero essere scusate”. A fine vertice il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha ricordato che “sul fronte della vaccinazione le prossime settimane resteranno difficili”, pur volendo trasmettere “un messaggio di speranza e ottimismo perché disponiamo dei mezzi e delle risorse per garantire l’uscita da questa crisi”. Per fare il punto sui vaccini in Europa abbiamo parlato con Armando Genazzani, direttore Scienze del farmaco all’Università del Piemonte Orientale di Novara e rappresentante italiano nel gruppo vaccini anti-Covid dell’Ema.



Mario Draghi ha invitato la Ue ad accelerare su produzione e approvvigionamento dei vaccini, ha chiesto un maggior coordinamento e ha affermato che le aziende che non rispettano gli impegni nelle consegne dei vaccini non dovrebbero essere scusate. Che ruolo può giocare l’Ema in questa partita?

L’Ema può giocare solo un ruolo di facilitazione. Al momento uno dei principali problemi è che le aziende non sono pronte a produrre tutti questi vaccini.



Perché?

La produzione di un farmaco è molto complessa, richiede molte linee guida e molti controlli: operazioni che non si vedono ma che servono a garantire che tutto sia fatto correttamente.

Ma quando hanno firmato i contratti le aziende si sono impegnate a fornire un certo numero di dosi…

Allora però erano in una fase di approvazione in cui si immaginavano una determinata produzione e ancora non sono riuscite ad arrivare a quella fase. È vero che non possiamo scusarli perché stanno consegnando quantitativi inferiori, ma la produzione dei medicinali deve seguire iter e criteri ben precisi. Sono sicuro però che riusciranno ad autorizzare più stabilimenti e a produrre più dosi, tornando così ai livelli previsti dagli accordi che hanno firmato.



Quindi non ci sono comportamenti dolosi?

Credo proprio di no, non penso che abbiano i vaccini in casa e che non vogliano consegnarli. Il problema forse è che questa pandemia ha espanso il concetto di tempo.

In che senso?

Una giornata sembra diventata un arco di tempo lunghissimo. Quando sentiamo che ce la faremo in tre settimane, è come se ci dicessero che dovremo aspettare per anni. In realtà, abbiamo fatto miracoli. Chi l’avrebbe mai detto che dopo un anno dai primi casi scoperti di Covid avremmo avuto ben tre vaccini già autorizzati e disponibili in centinaia di migliaia di dosi in tutto il mondo? Non vorrei che rischiassimo di perderci tutto il bello che abbiamo fatto.

Giusto dare priorità alle prime dosi?

I vaccini sono tre: due a mRna e uno con adenovirus. Per questo vaccino, quello di AstraZeneca, da cui l’Italia riceverà il maggior numero di dosi, la seconda dose va somministrata dopo 10-12 settimane, cioè a due mesi e mezzo-tre mesi di distanza. È un controsenso parlare adesso di priorità delle prime dosi AstraZeneca, lo sono già fino a giugno. Il tema è stato sollevato in Gran Bretagna e tutt’al più vale per i due vaccini a mRna. Dopo la prima dose vi è una parziale protezione con tutti e tre i vaccini, quindi solo in un momento particolarmente drammatico della pandemia si potrebbe immaginare di fare così. Non capisco perché l’Italia voglia seguire questa strada.

L’Italia è partita bene con le vaccinazioni, poi ha rallentato. Perché?

Non mi occupo di campagne vaccinali, ma credo che tutte le dosi di vaccino che arrivano vengano somministrate e l’Italia si sta organizzando con altre filiere distributive. Il prossimo mese, poi, arriverà sicuramente un altro vaccino, quello di Johnson&Johnson.

Quali candidati vaccini sono vicini al traguardo?

Quanto meno tre hanno già iniziato l’iter formale di revisione in Ema: oltre a J&J, ci sono Curevac, un altro vaccino a mRna, e Novavax, una terza piattaforma più tradizionale, in cui la proteina del virus viene iniettata direttamente.

A che punto siamo con l’autorizzazione?

J&J è molto avanti, mentre gli altri due hanno iniziato la rolling review. Inoltre ci sono contatti in corso con altri produttori, anch’essi molto avanti con la documentazione necessaria per poter sottomettere il proprio vaccino a revisione, tra cui il russo Sputnik V, che ha comunicato dati sull’efficacia molto buoni.

A tal proposito, l’approvazione di Sputnik, che l’Ungheria ha già iniziato a utilizzare, avrebbe dovuto arrivare a inizio febbraio. Perché slitta, ci sono problemi?

In realtà la richiesta ufficiale non è ancora arrivata. Ripeto, ci sono contatti preliminari, per esempio per poter ispezionare i siti produttivi. Ma queste sono regole che valgono per qualunque altro vaccino, non solo per lo Sputnik. Più vaccini abbiamo, meglio è, ma non dimentichiamoci che tutti questi vaccini avranno dei problemi di approvvigionamento, per le ragioni dette all’inizio e perché per realizzare un impianto ci vuole tempo. Produrre centinaia di milioni di dosi è un’impresa titanica, non so se sia mai stata fatta in precedenza.

In Italia si pensa di coinvolgere nella filiera produttiva dei vaccini alcune imprese farmaceutiche. Che ne pensa?

In Italia siamo molto forti nel manifatturiero dei farmaci e quindi è normale che alcune aziende, come succede nell’automotive, si appoggino a produttori esterni. Anche noi saremo coinvolti. Penso che ogni produttore di vaccini dovrà trovare 10-12 stabilimenti produttivi, che potranno entrare in funzione solo previa autorizzazione dell’Ema.

Sempre l’Ungheria, primo paese nella Ue, ha iniziato a somministrare il vaccino cinese. Arriverà anche in Europa?

I vaccini non hanno passaporto. Hanno un beneficio/rischio, cioè si valuta se e quanto sono efficaci e sicuri, poi non importa da chi e dove vengano prodotti. Quindi, sarà possibile avere i vaccini cinesi, ma dovranno essere autorizzati dall’Ema.

Il vaccino AstraZeneca ha avuto un percorso di autorizzazione molto complicato, visto che Ema ha chiesto informazioni supplementari non solo su efficacia e sicurezza, ma anche sulla sua qualità. È un vaccino di serie B, come qualcuno teme?

Come tutti quelli certificati da Ema anche il vaccino AstraZeneca è senza dubbio di serie A, dimostrando un beneficio/rischio positivo: meglio per la popolazione assumerlo che non assumerlo. Qualità è sfortunatamente una di quelle parole che vengono tradotte dall’inglese tecnico e ciò genera qualche problema. È normale valutare un vaccino in termini di qualità non clinica, tutti i dati riferiti all’utilizzo su cellule e animali, e clinica. Qualità vuol dire andare a vedere come è fatto il vaccino, dove viene realizzato, se gli stabilimenti sono tutti autorizzati. Tutti i candidati vaccini hanno dovuto rispondere a queste domande di Quality. Fa parte dell’iter normale chiedere a un’azienda produttrice di sostanziare o cambiare alcune cose che dice o di procurare nuovi dati.

Le varianti possono mettere a rischio l’efficacia dei vaccini?

Sì. I vaccini sono tutti disegnati per riconoscere la proteina Spike, utilizzata dal virus per entrare nelle cellule. Tutte le tecnologie ruotano attorno a questa proteina, facendo sì che possa essere riconosciuta dal nostro sistema immunitario, inducendolo a creare gli anticorpi, così da essere già pronti a combattere la malattia.

Con le varianti che succede?

Se la proteina cambia in alcuni amminoacidi, fondamentali per il suo riconoscimento, è un po’ come se la Spike si travestisse. Quindi, variante per variante, anticorpo per anticorpo, tutto dovrà essere valutato.

In quanto tempo un vaccino può “riadattarsi” a una variante?

Fortunatamente, in base a quello che stiamo imparando sui vaccini, adattarli al cambio della Spike, per farla vedere all’organismo, è una cosa relativamente semplice e veloce, perché il titolo anticorpale che si raggiunge nei pazienti si correla con l’efficacia del vaccino.

Cosa significa?

Nel momento in cui un produttore di vaccini deciderà di sviluppare un farmaco per una variante, non dovrà più fare tutto lo studio clinico, ma potrà direttamente vedere se quella nuova proteina scatena una risposta anticorpale in un numero limitato di pazienti o meno. Estrapolata l’efficacia, quel vaccino sarà autorizzato. Al momento, comunque, non sappiamo bene quali vaccini sono in grado di proteggerci da quali varianti e a che livello. E se in futuro le varianti prenderanno il sopravvento, saremo costretti a vaccinarci di nuovo. Insomma, per un po’ di tempo dovremo rincorrere il Covid.

(Marco Biscella)

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