La variante sudafricana del Covid mette in discussione l’efficacia dei vaccini nella loro formulazione attuale? Si è parlato soprattutto di AstraZeneca, sulla base di uno studio (condotto dalla stessa azienda farmaceutica insieme alle università di Oxford e Witewatersrand e anticipato sul Financial Times) che in realtà ha coinvolto per ora poco più di duemila partecipanti, mostrando una riduzione dell’efficacia dell’antidoto in giovani adulti sani. Anche altri vaccini, però, hanno riscontrato una ridotta efficacia di fronte alla più temuta delle varianti – Johnson & Johnson ad esempio, e Novavax.
Le stesse Pfizer e Moderna annunciano che provvederanno a riformulare i loro vaccini perché risultino altrettanto efficaci contro la variante sudafricana, mentre si sono riconfermati efficaci (sebbene con una percentuale lievemente più bassa) di fronte alla variante inglese. Intanto il Sudafrica sospende la somministrazione del siero AstraZeneca. Come interpretare in modo corretto questo complesso quadro, che sembra far vacillare l’entusiasmo con cui, solo qualche settimana fa, si annunciavano gli straordinari risultati dei vaccini? Lo abbiamo chiesto a Massimo Clementi, professore ordinario di Microbiologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e primario, presso la stessa struttura, del laboratorio di microbiologia e virologia.
Professore, come commenta la notizia della minore efficacia dei vaccini, in particolare AstraZeneca, sulla variante sudafricana?
Secondo me c’è da fare una premessa: è chiaro che il tema delle varianti in questo momento è molto sentito e va seguito con attenzione, e il mio non è un invito a non essere attenti e rigorosi. Però bisogna riportare tutto all’evidenza.
Cioè?
Abbiamo tantissime varianti che si formano tutti i giorni, perché il virus infetta milioni di persone nel mondo. Non è uno dei virus che variano di più, però è un virus a Rna, ha un genoma grandissimo. Ora, il 99,9% delle varianti ha una vita brevissima, un giorno e poi scompaiono, non essendo “darwinianamente” migliori delle precedenti. Le varianti che permangono sono quelle che danno un beneficio al virus.
Quali sono i benefici?
In questo momento non ci sono farmaci antivirali che fanno una pressione selettiva, perché nel caso ad esempio dell’Hiv le varianti che sfuggono sono quelle resistenti ai farmaci. Nel caso del Covid la variante che sfugge è una che o replica meglio della precedente o sfugge alla pressione immunitaria della popolazione, in un momento in cui – fra chi ha già contratto la malattia e il crescente numero di persone vaccinate – la popolazione stessa si sta immunizzando sempre di più. Bisogna stare attenti, capire qual è il ruolo delle varianti, che caratteristiche biologiche e patogenetiche hanno.
Le varianti sono il modo che il virus ha di portare avanti la sua lotta?
Il virus vuole replicare, non gli interessa la lotta all’uomo, non gli interessa il fatto di essere patogeno. Ovviamente non ha strategie, non pensa, ma è disposto a cambiare per replicarsi sempre meglio. Nelle ultime settimane abbiamo visto l’affermarsi delle varianti nel mondo, varianti che sono state cercate. La stessa variante inglese circolava anche in Italia: proprio negli stessi giorni è stata rinvenuta a Loreto, nelle Marche, in una persona che non aveva avuto alcun contatto riferibile all’Inghilterra. Questa variante però è stata individuata in Inghilterra grazie all’ottimo (e finanziatissimo) network di laboratori universitari che studiano i cambiamenti del virus. Ebbene, come detto prima, la variante inglese replica meglio e replica di più. Inoltre l’Rdb della proteina spike, con cui il virus si àncora alle cellule, ha nella variante inglese un orientamento un po’ diverso rispetto al virus precedente, e questo forse lo rende meno soggetto alla pressione degli anticorpi. In ogni caso nemmeno la variante inglese sfugge all’immunità conferita dai vaccini.
Le altre varianti invece?
I vaccini Pfizer e Moderna sono efficaci con la variante inglese e sudafricana, probabilmente anche con la sudamericana. Per il vaccino AstraZeneca c’è l’osservazione di una minore efficacia. È il vaccino che ora si trova più sotto i riflettori, anche perché si è visto che l’efficacia di immunizzazione dopo la seconda dose è un po’ minore, ma non è deludente, assolutamente. Molti dicono che è un vaccino di serie B: non è vero.
Spieghiamo perché.
È un vaccino che anzitutto non ha i problemi logistici che hanno gli altri e può essere conservato a temperature di frigorifero. E poi conferisce immunità al 70% delle persone vaccinate, probabilmente anche di più, facendo controlli più tardivi dopo la seconda dose. Questa immunità poi è calcolata solo con la comparsa degli anticorpi, potrebbe essere che invece considerando l’immunità cellulo-mediata sia anche superiore. Al di là di questo, ricordo perfettamente che all’inizio della ricerca dei vaccini si diceva: ci accontentiamo di un’efficacia del 60%. L’efficacia dei nostri vaccini anti-influenzali, quelli che facciamo tutti gli anni, si aggira fra il 60 e il 70%.
Questo ci fa capire perché è così sorprendente un’efficacia superiore al 90-95%?
Il vaccino AstraZeneca ha risposto molto bene ai requisiti iniziali, anzi li ha superati, arrivando a un’efficacia del 70%. È che gli altri hanno fatto una performance straordinaria: Pfizer è quasi vicino al 100%. Questi vaccini a Rna sono stati dirompenti, nessuno poteva immaginarlo. Erano già conosciuti, certo, si sapeva che erano usati sperimentalmente nella terapia del cancro e contro altre infezioni, ma nessuno aveva fatto un’esperienza così ampia. La risposta che c’è stata in questa particolare infezione è stata stratosferica, anche quella del vaccino Sputnik.
Nonostante le perplessità iniziali di molti.
Esatto, i russi avevano iniziato a utilizzarlo già prima della fase tre, ma i risultati pubblicati su Lancet sono incredibili. Il vaccino russo funziona con due adenovirus diversi, uno viene usato per la prima dose, l’altro per la seconda, in modo che non si sviluppi un’immunità che in qualche modo interferisca col vaccino. Una tecnologia sicuramente interessante, tanto che alla Merkel, che, a differenza di quanto avviene da noi, ha un unico consigliere, Christian Drosten, virologo bravissimo dell’ospedale Charité di Berlino, è stato detto di comprarlo subito, in tempi non sospetti. Credo che la Germania farà addirittura un accordo per produrlo in casa. Nel frattempo anche l’Ema lo sta studiando, evidentemente merita attenzione.
E rispetto a questi vaccini quello di AstraZeneca in cosa si distingue?
È un vaccino con un vettore inerte, vettore che ha l’unico compito di veicolare nelle cellule l’Rna del coronavirus, che viene espresso, come negli altri, e poi viene sviluppata l’immunità nei confronti della stessa proteina spike. È una modalità più convenzionale, c’erano già vaccini di questo tipo, utilizzati in condizioni diverse. La differenza della tecnologia Pfizer e Moderna sta nell’essere molto diretta: c’è una diversa delivery dell’Rna, che, messo in queste particelle di grasso, arriva subito ai ribosomi dove vengono tradotte le proteine: una tecnologia molto semplice se vogliamo, ma spesso le cose che funzionano sono semplici.
Semplicità resa possibile dalle bassissime temperature di conservazione.
Certo.
Mentre la delivery come avviene nel vaccino AstraZeneca?
In AstraZeneca l’Rna arriva attraverso l’adenovirus, un virus inattivato.
Perché un vaccino così può mostrarsi meno efficace contro la variante?
Ho i miei dubbi su una notizia così clamorosa, che parla addirittura di un’efficacia del 10%, basandosi su duemila pazienti osservati senza una randomizzazione del campione. Questo può essere al massimo un dato osservazionale, non è un’osservazione scientifica. Come ha già detto la dottoressa Capobianchi, Direttrice di laboratorio dello Spallanzani, non è uno studio, non si può diffondere una notizia di questo tipo basandosi su questi dati.
Prudenza, dunque?
Magari poi il vaccino potrà mostrarsi meno attivo – forse, e io non so dirlo in questo momento – contro una particolare variante, ma queste notizie possono determinare un allontanamento dalla vaccinazione, e oggi sappiamo quanto sia un aspetto delicato. Sono notizie che rischiano di far allontanare dalla vaccinazione persone che comunque ne trarrebbero un beneficio.
Cosa intende?
Magari ti vaccini e t’infetti lo stesso, ma se sei vaccinato non ti ammali, perché un po’ di immunità ce l’hai. Uno degli anticorpi monoclonali utilizzati nei “cocktail” di anticorpi monoclonali contro il Sars-CoV-2, ad esempio, non è stato prodotto con Sars-CoV-2 ma con Sars-CoV-1, ai tempi della vecchia Sars. Ci sono regioni della proteina S molto simili tra Sars-CoV-1 e Sars-CoV-2, proprio per questo l’anticorpo di cui parlavo ha un’efficacia notevole in sinergia con gli altri. Questo per dirle che a volte anche un anticorpo un po’ diverso dalla spike funziona lo stesso nei confronti di quella proteina.
L’incredibile accelerata tecnologica imposta da questi vaccini potrà segnare positivamente anche il destino della lotta contro altre malattie, e se sì quali?
Secondo me, sarà certamente così, non le so dire in quanto tempo. I tempi normali dello sviluppo medico sono molto più lunghi. Certo è che da questa tecnologia o simili avremo un grandissimo beneficio. Esistono tante malattie, a cominciare dal cancro, che risentono molto favorevolmente dello stimolo immunitario, può costituire la terapia unica oppure un forte coadiuvante di terapie diverse. Penso anche a certe malattie autoimmuni o alla sclerosi multipla, di cui però ci sfuggono ancora molti elementi eziologici, senza contare tutte le malattie infettive, perché potremmo ridisegnare i vaccini che abbiamo.
Ad esempio?
I vaccini antinfluenzali, che sono vecchissimi e vanno rifatti tutti gli anni, non abbiamo un vaccino pan-influenzale, o anche a tutti i vaccini dell’infanzia, potrebbero essere ridisegnati completamente, con una tecnologia che guardi al futuro, perché anche una conservazione a temperature così basse non è certo agevole. Però siamo nel 2021.
Un aspetto molto promettente, non crede?
Sì, un aspetto che riguarderà il futuro. Se ne dovrà riparlare, ora siamo tutti concentrati su questa infezione. Le due ditte che hanno sviluppato così rapidamente il vaccino a Rna comunque non lo hanno fatto per caso, l’hanno fatto perché avevano delle piattaforme di sperimentazione e produzione già aperte, c’erano almeno cinquanta studi clinici già avviati e immagino anche di più pre-clinici. Semplicemente hanno detto: qual è la sequenza della proteina spike? Hanno preso la sequenza, hanno fatto l’Rna e dopo due-tre settimane già avevano il vaccino. Tutto il resto è stato tempo necessario per la produzione, i test e le fasi previste dall’iter, non per lo sviluppo del vaccino in sé.
(Emanuela Giacca)
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