“Su 32 milioni di vaccinazioni effettuate e 222 segnalazioni sono stati registrati 86 eventi avversi e, di questi, 18 sono risultati fatali”, ha detto ieri il ministro Roberto Speranza riferendosi al vaccino AstraZeneca, che “come tutti gli altri, è efficace e sicuro e salva la vita delle persone, come dimostrano i risultati sul campo in Gran Bretagna”.



Ma proprio ieri è arrivata la notizia che viene “sospesa momentaneamente la vaccinazione con Vaxzevria (AstraZeneca)” per i militari e le forze dell’ordine in Italia “fino a nuova disposizione”. E secondo fonti raccolte da La Stampa, l’Ema sarebbe propensa a bloccare definitivamente i vaccini a vettore virale come, appunto, AstraZeneca e Johnson&Johnson. Un’indiscrezione che sembrerebbe avvalorare la decisione della Ue, annunciata dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, di voler puntare con forza sui vaccini a Rna messaggero, cioè Pfizer e Moderna. Insomma, il rompicapo dei vaccini non trova pace, ogni giorno è un susseguirsi di notizie contraddittorie, in cui si alternano grandi speranze e altrettanto profondi dubbi.



Con quali effetti sulla campagna vaccinale, dalla cui riuscita dipendono in gran parte le possibilità concrete di progressive riaperture in sicurezza delle attività? E fa bene l’Unione Europea a scommettere sui vaccini a mRna? Lo abbiamo chiesto a Silvio Garattini, fondatore e presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.

Professore, la Ue ha deciso di puntare con forza sui vaccini a Rna messaggero. È una scelta che condivide?

Difficile rispondere, perché non abbiamo studi comparativi. Da un punto di vista politico si può prendere una decisione simile: se la gente ha paura dei vaccini a vettore virale o se sono di difficile reperimento, è giusto concentrarsi sugli altri.



E dal punto di vista scientifico?

Non ci sono ragioni inoppugnabili.

Perché?

Non sappiamo se un tipo di vaccino è meglio e più efficace dell’altro, perché i diversi sieri sono stati studiati e testati su popolazioni diverse in condizioni diverse.

Questo cosa significa?

Non sappiamo qual è il vero grado di protezione a breve e a lungo termine: quanto ogni vaccino realizza in termini di immunità umorale, cioè di anticorpi, e di immunità cellulare, cioè di cellule T e macrofagi? Non ci sono confronti.

Erano da mettere in conto i problemi insorti con i vaccini con vettori virali come AstraZeneca e Johnson&Johnson?

Non credo si potesse prevederlo a priori, anche perché bisogna sempre vedere il rapporto fra benefici ed effetti collaterali avversi. Con questi vaccini il beneficio è enorme, l’effetto collaterale avverso invece è un caso su un milione. E se avessimo iniziato a vaccinare a partire da dicembre, come ha fatto la Gran Bretagna, non avremmo certamente avuto in questi quattro mesi 50mila morti, ma molti meno.

Non ha l’impressione che per alcuni vaccini la somministrazione in questa campagna vaccinale rappresenti una sorta di Fase 3 sperimentata sul campo?

Penso che ci sia stato un buon equilibrio fra la necessità di far presto, perché non dobbiamo dimenticarci che abbiamo avuto nel mondo più di 2 milioni di decessi, e l’attenzione a compiere tutti i passi necessari, comprese le Fasi 3, che sono state eseguite. È vero che non abbiamo aspettato un anno, tuttavia abbiamo fatto passare qualche mese osservando che i vaccini erano efficaci. Era giusto dunque correre qualche rischio calcolato, anzi, il campo ha dato ragione a questa scelta. Basta guardare a Israele, Gran Bretagna e Stati Uniti: man mano che aumentavano le somministrazioni – oltre ovviamente alle altre misure di precauzione, sempre importanti e necessarie, lockdown compresi –, i morti sono calati drasticamente e ora questi paesi stanno riaprendo le attività.

Anche in Italia il governo ci sta pensando: maggio potrebbe essere il mese delle riaperture, come già avvenuto l’anno scorso dopo due mesi di lockdown. Oggi abbiamo le vaccinazioni, ma quali errori non dobbiamo ripetere per evitare di aprire e poi richiudere?

Bisogna stare molto attenti. Abbiamo visto che cosa è successo in Sardegna dopo qualche settimana in zona bianca: sono tornati in zona rossa. Se ci danno un dito, non dobbiamo subito prenderci tutto il braccio. Detto questo, dobbiamo poi vedere se ci saranno vaccini a sufficienza, perché continuiamo a dire “vacciniamo, vacciniamo”, ma poi non abbiamo tutte le dosi di cui dovremmo disporre.

Il piano Figliuolo però sembra funzionare. Ammesso che le vaccinazioni procedano spedite?

Dovremmo arrivare a immunizzare almeno il 50% dei cittadini. A quel punto le aperture saranno possibili. Non devono però essere aperture dettate solo dall’esigenza di accontentare quelli che urlano di più. La pressione popolare è più che giustificata, visto che sta aumentando la povertà e non possiamo permettercelo, ma non bisogna esagerare. Ci vogliono un grande equilibrio e una buona capacità di comunicazione, che ancora non vedo. Ripeto: bisogna spiegare in modo chiaro le ragioni di certe scelte legate ai vaccini.

A tal proposito, l’Ema ha gestito il caso AstraZeneca in modo un po’ confuso e contraddittorio. Ora c’è la momentanea sospensione del vaccino Johnson&Johnson: rischiamo la stessa fine, creando ulteriori confusioni e paure?

Pur non essendoci un patto europeo sulla salute e per evitare che ciascun paese decidesse per conto proprio quali farmaci approvare – e i vaccini sono farmaci –, la Ue ha saggiamente scelto di dotarsi di un’agenzia regolatoria unica comune, cui partecipano tutti gli Stati con un loro rappresentante, con il compito di valutare e autorizzare i farmaci per tutta l’Europa. Con AstraZeneca, però, è successo che l’Ema ha preso una decisione, ma i singoli paesi hanno fatto quello che volevano.

Insomma, sui vaccini è caos Europa?

L’Italia come la Germania lo ha autorizzato per gli over 60, la Francia per gli ultra 65enni, la Danimarca ne ha vietato la somministrazione… Se c’è un’Agenzia europea del farmaco, andrebbe seguita, altrimenti che senso ha averla?

Visto che l’Ema darà la sua risposta sul vaccino Johnson&Johnson la prossima settimana, corriamo lo stesso rischio del caso AstraZeneca?

Certamente.

Si parla anche di un possibile stop definitivo di AstraZeneca e Johnson&Johnson. Questo comprometterebbe l’esito della campagna vaccinale italiana e impedirebbe di raggiungere l’immunità di gregge?

Assolutamente. Noi contiamo molto su AstraZeneca e su Johnson&Johnson. Ma qui il governo dovrebbe evitare l’effetto annuncio: che bisogno c’è di continuare a dire ogni giorno arriveranno tot milioni di dosi, avremo questo o quel vaccino che risolverà ogni problema? Meglio non lasciarsi andare ad annunci prematuri, a promesse, bisogna imparare a dire le cose quando sono avvenute.

È giusto avere paura per i casi di avventi avversi gravi segnalati, come i casi di trombosi registrati con AstraZeneca?

No. Ci sono farmaci che presentano più effetti collaterali: l’aspirina, per esempio, dà un caso su mille di emorragia gastrointestinale. Viaggiare in auto è molto più rischioso, prendere un aereo è cento volte più pericoloso che fare una vaccinazione, addirittura è più facile morire cadendo dal letto, visto che si registra un decesso ogni 600mila cadute. Ci sono soggetti che hanno paura a farsi inoculare AstraZeneca e magari sono fumatori: il rischio è incomparabile come frequenza e importanza. Non siamo abituati a concepire il rapporto rischi/benefici, perché a scuola non viene insegnato.

Come si ricostruisce la fiducia della popolazione nei vaccini? Come si possono fugare i dubbi, le apprensioni, i rifiuti a vaccinarsi?

Premesso che è stata anche la stessa AstraZeneca, fin dall’inizio, a contribuire alla confusione e alla cattiva informazione, il governo può ricostruire la fiducia con una buona e credibile comunicazione, che non si basi solo sugli annunci ed evitando l’eccesso di informazioni, che crea contraddizioni, le quali a loro volta inducono confusione e poi paura. Bisogna spiegare di più, magari dare l’esempio: il fatto che il premier Draghi e sua moglie hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca andrebbe valorizzato, invitando poi personaggi di spicco, del mondo politico, dell’economia, del cinema o dello sport, a fare altrettanto.

(Marco Biscella) 

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