Abbiamo commentato col dott. Angelo Pan, direttore dell’Unità Malattie Infettive dell’ASST di Cremona, l’andamento della pandemia e le possibili strategie vaccinali da adottare, tenendo in considerazione il proliferare delle varianti Covid. Da ultima (ne ha dato annuncio in New York Times) è stata individuata negli Stati Uniti la cosiddetta “variante newyorkese”, che sembrerebbe particolarmente capace di schivare le difese del sistema immunitario.
Fermo restando che non esiste una sola possibile strategia per la vaccinazione, occorre, secondo il dott. Pan, sfruttare al meglio i prossimi tre-quattro mesi. Combinando la campagna vaccinale con un efficace contenimento, sarà possibile non vanificarne gli sforzi fatti finora, ricordando che il rispetto delle misure di distanziamento e di protezione individuale è la prima arma per combattere il virus e le sue possibili future mutazioni.
Dott. Pan, quali sarebbero secondo lei le strategie vaccinali più efficaci in questa fase?
Nel programma vaccinale sono previste diverse strategie, una delle quali è quella che si sta pensando per la Lombardia e che consiste nel fare vaccinazioni intorno alle zone più ad alto rischio di diffusione del virus e delle varianti. È una strategia già utilizzata con l’Ebola, nell’ultima epidemia in Congo ad esempio.
Ci dica di più.
Si tratta di una vaccinazione a cerchio, si crea un cordone sanitario di persone resistenti al virus intorno al focolaio. Partendo dalle zone esterne, si procede per cerchi concentrici al fine di ridurre la possibilità che il virus si diffonda. In questo modo si cerca di contenere la diffusione epidemica in determinate aree geografiche.
Qualcuno ha parlato di una strategia di frazionamento che dia priorità a certi segmenti di popolazione, cosa ne pensa?
La proposta è di selezionare le popolazioni ad alto rischio, pazienti particolarmente fragili e che potrebbero sviluppare un’infezione Covid-correlata molto grave, per esempio i pazienti oncologici, gli obesi, gli ipertesi. Bisogna capire però come identificare queste persone e quali criteri adottare per partire.
È complicato?
Non è agevolissimo fare punteggi complessi, forse è più facile dire: vaccino tutti i pazienti oncologici ricoverati in reparto, in questo modo è facile individuare e contattare i pazienti. Più difficile è, invece, individuare e raggiungere le persone che presentano dei fattori di rischio, come appunto obesità e ipertensione. Ad ogni modo quelle di cui stiamo parlando sono tutte strategie condivisibili e una non esclude l’altra. La necessità aguzza l’ingegno.
C’è ancora molto da fare?
Abbiamo a disposizione dei dati per valutare l’efficacia vaccini che sono stati costruiti su popolazioni standard, e ci troviamo in un pandemia che evolve e ci pone continuamente in situazioni a rischio. Dobbiamo adattare i risultati degli studi a casi diversi da quelli contemplati dagli studi stessi, cercando di usare strategie non convenzionali, come hanno fatto gli inglesi.
Con la prima dose?
Sì, intanto somministrano la prima dose a più persone possibili, poi si vedrà. Sono strategie d’emergenza, ci si deve adattare all’ambiente in maniera rapida senza avere sempre dati scientifici robustissimi a disposizione, o comunque interpretandoli in maniera più elastica e approfondita. Bisogna ragionare sulla situazione attuale dalla pandemia per decidere le strategie, strategie che poi possono variare da territorio a territorio ma anche nel tempo.
Sta davvero arrivando la terza ondata?
I dati che vediamo pubblicati mostrano un incremento rapido di casi nella zona di Brescia, è una zona critica, speriamo che gli interventi messi in atto riescano a contenere la diffusione del virus. Io lo spero fermamente, anche se altre volte abbiamo visto che il virus scappa via per conto proprio. Ieri (24 febbraio, ndr) c’erano 900 casi, 3-4 giorni fa erano 500 al giorno, i dati non sono confortanti. Se dovessimo riuscire a contenere il focolaio di Brescia ci sarà da pensare come procedere nella fase successiva.
Ricordando sempre quanto sono importanti i comportamenti individuali.
Il virus non si diffonde perché è cattivo, si diffonde per i comportamenti umani, quanto più ci sono interazioni interumane non protette, tanto più circola. Questo è evidente da quanto sperimentato col lockdown di marzo 2020, a cui è conseguita una quasi scomparsa del virus.
Oggi invece circolano molte varianti, fra cui quella newyorkese. Che vuol dire che è in grado di schivare il sistema immunitario?
Vuol dire che la risposta immunitaria generata nei confronti del virus per come lo conosciamo non è così efficace nel controllare la replicazione di una variante del virus che ha una mutazione sulla proteina spike, la punta della corona. Gli anticorpi, anche quelli stimolati dal vaccino, possono essere meno capaci di bloccare il virus, di agganciarlo: è un problema di conformazione fisica. Bisogna però prendere con cautela i dati in vitro.
Perché?
Perché la correlazione in vitro-in vivo magari non funziona e nella realtà il virus si comporta diversamente. Di varianti continueremo a comunque a sentir parlare, è inevitabile, più gente s’infetta più è facile che il virus muti.
Come riusciremo a fermarle?
Bisogna mantenere le precauzioni, soprattutto in questa fase di vaccinazione. Se riusciamo a proteggerci col vaccino e a limitare la moltiplicazione del virus facciamo un doppio gioco a nostro favore, se diamo il liberi tutti il vaccino finirà per non funzionare di fronte alle varianti. Certo, i vaccini sono modulabili, si possono adattare, ma ci vogliono diverse settimane, non è una cosa immediata.
Quale raccomandazione si sente di fare a chi legge?
Dobbiamo stringere i denti e cercare di fare tutto il possibile per controllare la diffusione virale durante i prossimi tre-quattro mesi. Bisogna andare avanti coi vaccini e fare un ulteriore sacrificio, anche se è passato più di un anno e siamo tutti stanchissimi. Ma s’inizia a vedere una luce in fondo al tunnel e se dovessimo favorire la comparsa di altre varianti ci troveremmo di fronte a una situazione molto complessa. Ricominceremmo a soffrire e l’obiettivo non è quello.
Anche perché di varianti critiche ce ne sono già diverse.
Sì, la brasiliana è peggio dell’inglese, ora appunto è stata individuata la newyorkese. Dobbiamo capire che nulla è vietato al virus, per cui meno virus riusciamo a far girare più è facile che col vaccino riusciamo ad avere una buona risposta di popolazione.
(Emanuela Giacca)