Chi ancora nutriva dubbi che quella venezuelana fosse una dittatura (in pochi ma influenti politicamente anche in Italia) ora può dirsi servito a meno che, come spesso capita nei populismi (incluso quello pentastellato nostrano), non si insista nel credere nelle “favole rivoluzionarie antimperialiste”. Domenica e lunedì scorsi sono accaduti due fatti gravissimi: ai deputati dell’opposizione a Maduro è stato negato l’accesso nella sede dell’Asemblea Nacional (dove sono maggioranza) ed è stato eletto senza alcuna votazione (visto che non si sarebbe ottenuto il quorum) Luis Parra come Presidente. Ex alleato di Juan Guaidó, Parra divenne famoso, insieme ad altri deputati, per essere rimasto coinvolto in uno scandalo degli aiuti alimentari Clap, casse di alimenti solidali gestiti dal Governo.



Insieme ad altri deputati, come Josè Gregorio Noriega, Josè Brito, Adolfo Superlano, Conrado Perez e altri, Parra era accusato di utilizzare il suo ruolo nella Commissione di controllo per favorire l’impresario colombiano Alex Saab, segnalato dagli Usa come prestanome di Maduro. Espulso dal partito centrista Primero Justicia, Parra e gli altri sono confluiti, con l’aiuto del Partito socialista di potere, nella riunione parlamentare, in pratica alleandosi con il dittatore nella farsa che poi si è trasformata nella sua elezione, dove chiaramente ha espresso come obiettivo quello di indire libere elezioni. Ovviamente l’aggettivo libere è puramente metafisico, visto che la manovra, attuata in un palazzo circondato da forze armate, milizie popolari e il Sebin, i servizi segreti venezuelani, ha impedito l’ingresso di oltre 100 deputati che poi si sono riuniti nella sede del quotidiano “El Nacional”, dove hanno tenuto un’assemblea confermando Guaidó come Presidente ad Interim.



Il Paese si trova così con due Parlamenti, dei quali il primo (quello imposto da Maduro) è chiaramente forzato, mentre il secondo è riconosciuto da diversi Paesi. La mossa di Maduro, che ha voluto in questo modo occupare l’unico organismo non ai suoi ordini rafforzando, almeno in teoria, la sua dittatura, è arrivata a distanza dalle trattative che hanno avuto come epicentro tempo fa la Norvegia, Paese garante, per poter arrivare a organizzare libere elezioni. Visto che, come nel corso delle altre trattative tra Maduro e opposizione aventi il Vaticano come garante di anni fa, anche questa volta il dittatore è stato messo con le spalle al muro, Maduro, dopo quest’ultima apertura, è tornato a utilizzare il pugno duro.



Da segnalare che, dopo la sua elezione, Parra ha avuto un momento di indecisione perché non sapeva come procedere dopo tante irregolarità, fino a quando il dirigente rivoluzionario Francisco Torrealba, “direttore dell’orchestra” durante l’intera farsesca giornata, gli ha urlato: “Siediti, che ci manterremo tutti qui, perché nessuno se ne può andare!”.

Nella giornata di lunedì è però successo un altro fatto gravissimo, in quanto l’albergo dove alloggiavano i deputati di Guaidó è stato occupato dalle forze di sicurezza che li hanno costretti ad abbandonare la struttura. Con la scusa della presenza di una bomba: in verità l’esplosione che è stata avvertita era quella di un mortaio caricato a salve, ma una volta fuori i parlamentari non hanno potuto rientrare ed è stato intimato alle altre strutture ricettive di Caracas di rifiutare la loro presenza.

Questa volta la reazione internazionale a questo gravissimo episodio ha incluso anche Uruguay e Messico, Paesi che avevano mantenuto nei confronti di Maduro una posizione di sostanziale riconoscimento, mentre nell’Argentina ritornata al peronismo kirchnerista, che attraverso il nuovo Presidente Alberto Fernandez aveva definito il regime venezuelano come una “democrazia autoritaria” (un altro dei misteri lessicali paradossali argentini , è stato emesso un comunicato di condanna della manovra, ma senza nominare la parola dittatura. Posizione molto curiosa che però ha una spiegazione molto logica: gli Usa hanno nelle loro mani la chiave del debito argentino con il Fmi e una posizione a favore di Maduro avrebbe significato un veto Usa alla ristrutturazione dello stesso, in pratica l’apertura di una crisi di default peggiore di quella del dicembre 2001.

È recente la notizia che Guaidò oggi (martedì) è riuscito a entrare nel Palazzo dell’Asemblea Nacional nonostante fosse ancora circondato da truppe maduriste. Proprio mentre Juan Parra stava partecipando a una riunione: appena lo ha visto si è preso paura ed è letteralmente fuggito dall’Asemblea Nacional, teatro di eventi comici se non fossero espressione di un regime che continua a governare con il terrore. Nonostante sia stata tolta la corrente per impedire la riunione con l’Asemblea al completo, la sala è stata illuminata con candele e la sessione ha potuto svolgersi regolarmente.